Sessanta ~ Questa Giornata Ha Del Surreale

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Avery

Non si può certo dire che io sia il tipo di donna che si accontenta con poco.
Non sono mai stata così.
Non mi piace prendere quello che passa: io ho desideri, sogni e progetti ben precisi, e finché ne ho le forze, combatto per realizzarli.
Non mi arrendo facilmente, tutt'altro.
Non mi arrendo se c'è in ballo qualcosa che bramo disperatamente.
Da ragazza, sono riuscita a stare con Mason nonostante tutto e tutti, e nonostante i pronostici. Qualche anno dopo, sono anche stata in grado di tenermi Jade, e di crescermela praticamente da sola.
Se qualcosa mi frulla per la testa, o se ho un bisogno da colmare, io non so rifugiarmi in camera da letto e mettermi l'anima in pace. Io devo agire.
È così che, ancora una volta contro tutte le previsioni, ho riavuto Mason nella mia vita.
Qualcosa di Mason.
E nonostante non avrei rinunciato a quel qualcosa per niente al mondo -alle brevi ore che mi concedeva per stare insieme- non riuscivo ad accettare fino in fondo le sue regole e lo stargli lontano.
Mi permetteva di incontrarlo soltanto poche volte a settimana, e voleva che stessimo insieme per appena una manciata d'ore.
Perché nella sua testa meno stavo con lui, e meno rischiavo.
Ma io lo sentivo il cuore che si tormentava per la mancanza di un rapporto vero, lo sentivo nell'attimo esatto in cui lasciavo la sua casa. E lo sentivo ogni giorno.
Già da ragazzina -e anzi proprio grazie al mio primo e unico amore- avevo scoperto quanto mi piacesse prendermi cura delle persone che amavo.
Ho sempre voluto dare io a quel Mason che faceva una vita difficile, tutto quello che il mondo gli aveva negato.
E adesso che lo sapevo stanco e distrutto, la mia voglia di prendermi cura di lui era anche più forte.
Perciò, quella mattina, me ne frego di tutto e prendo due ore di permesso dall'ospedale, e decido di portargli la colazione.
La sua giornata non può essere tanto brutta per una volta, se inizia con me.
Arrivata alla sua porta, busso un po' prima di prendere dalla borsa la chiave che ho preteso di avere -preteso, sì- ma mentre provo ad inserirla nella serratura, mi accorgo che la porta non è chiusa. Spingo il battente, e mi basta muovere appena un passo per capire che qualcosa non va.
Non si respira qui dentro, e io mi porto subito la maglietta al viso mentre mi guardo intorno.
Mi paralizzo sul posto non appena scorgo Mason per terra, privo di sensi, nella sua camera da letto.
Mason.
Oddio Mason!
Lancio un urlo, e mi precipito da lui iniziando a scuoterlo.
Credo sia solo svenuto, e di conseguenza non mi sente.
Il mio cuore intanto potrebbe giocarmi brutti scherzi tanto è teso dalla paura, e sento che non sto affatto bene neppure io.
Cerco di respirare il meno possibile, ma mi rassegno a uscire fuori quando capisco che potrei svenire allo stesso modo.
Corro a cercare Thomas, e da lì alla mezz'ora successiva è il caos.
Thomas porta di peso Mason fuori, e ci carica entrambi nella mia macchina per andare al pronto soccorso. Prima di mettere in moto, chiede ad un altro ragazzo di occuparsi dell'abitazione dove a quanto pare c'è stata una fuga di gas.
Gesù. Se l'istinto non mi avesse guidata da lui...
A metà strada, dopo aver finalmente respirato aria pulita, Mason riacquista un po' i sensi, ma non si riprende mai del tutto, e non servono a niente le mie carezze e il mio chiamare ininterrottamente il suo nome.
Giunti in ospedale, al pronto soccorso ci separano. Thomas mi garantisce che resterà con lui, e insiste affinché anche io mi faccia controllare visto che anche se per qualche secondo, anch'io ho respirato quell'aria tossica.
Non lo contraddico perché so che ha ragione.
Questa giornata è diventata un incubo.
Non doveva andare così.
E io non mi capacito di come il mondo si stia abbattendo ancora una volta su quest'uomo così buono, su un uomo che -a meno che non debba difendersi- non farebbe mai del male a nessuno.
Qualche tempo dopo, Thomas viene a spiegarmi che qualcuno ha manomesso l'impianto del gas, e allora so per certo che non posso più dare la colpa all'universo, ma che dietro a tutto questo -dietro agli ultimi mesi, forse persino dietro alla storia di Evan- c'è un bastardo con nome e cognome.

Io e Mason restiamo divisi per due ore piene, per tutto il tempo che medici e infermiere ci portano in giro per l'ospedale per analisi e controlli.
Poi, Thomas mi avvisa che hanno spostato Mason in una stanza, e mi lascia entrare.
Lui è semi-disteso sul letto con l'espressione palesemente provata, ed è pallido come non l'ho mai visto.
Ma finalmente quegli occhi sono aperti e vigili e stanno ricambiando il mio sguardo.
Giusto il tempo di percorrere i passi che mi dividono dal suo letto, e mi ritrovo tra le sue braccia.
Lo stringo fortissimo, e ringrazio il cielo che sia salvo.
<<Avery. Mi hai trovato tu?>> mi chiede, con la voce roca.
<<Si>> confermo, mentre prendo la bottiglia d'acqua dal comodino e gli verso un bicchiere, obbligandolo a bere.
Mi accontenta, e mi poi mi guarda con occhi stanchi e lucidi, ma pieni di gratitudine.
<<Mi salvi sempre>> sussurra emozionato.
<<Certo che sì>> ribatto cercando di sorridere, sebbene dentro sia ancora spaventata.
Nella mia testa vorticano un mare di "e se".
Avrei potuto non arrivare in tempo.
Sarebbe potuta finire male.
Avrei potuto non rivederlo più. Mai più.
Era un pensiero su cui non riuscivo a sorvolare quello.
Avrei solo voluto portarlo a casa con me, e metterlo sotto chiave dentro ad una campana di vetro. E osservarlo e proteggerlo ventiquattro ore su ventiquattro.
Qualsiasi cosa fosse stata necessaria per tenerlo al sicuro.
Qualsiasi cosa.
<<Tu stai bene vero?>>
<<Sì. Sono stata in casa per a malapena due minuti. Hai idea di quanto tempo hai respirato quell'aria tossica? Ricordi a che ora ti sei alzato?>> indago, entrando in modalità infermiera.
<<No. Non ne ho idea. Ma che ci facevi lì, Avery?>>
<<Volevo solo vederti>> bisbiglio.
Sul suo viso leggo il panico.
<<Non puoi fare così. Non puoi farle queste cose. Lo capisci perché non ti voglio con me? Se ci fossi stata anche tu? Se fossi rimasta a dormire? Dio, non posso pensarci. Non posso...>>
Quest'uomo mi faceva incazzare e traboccare d'amore allo stesso tempo.
Come faceva a preoccuparsi sempre per gli altri, quando era lui quello che aveva sfiorato la morte?
E so che se ne rende conto.
Così come so che non gli importa abbastanza da mettere la sua esperienza di fronte alla sua ossessione per la mia sicurezza.
<<Smettila! Se non fossi arrivata io, tu... Dio! Ti preoccupi costantemente per me, ma poi sei tu quello che rischia sempre, e la tua vita non vale meno della mia e io non sto affatto bene adesso. Perché non basta essere al sicuro per stare bene. Se lascerai che ti accada qualcosa Mason Davis, mi avrai rovinato la vita per sempre. E stavolta non potrai più rimediare>>
Erano parole dettate dalla preoccupazione le mie, erano accuse senza alcun senso e senza alcun valore.
Non poteva controllare niente anche se ci provava, ma mi faceva incazzare che ci provasse con tutte le persone che amava, e poi non sapesse difendere la sua stessa pelle.
Come se non valesse abbastanza.
Come se ci fosse sempre qualcosa di più importante di lui.
Ed era così da sempre per Mason.
C'ero stata prima io, poi c'erano stati prima i Lupi, poi c'era stato Evan.
Non sopportavo il poco valore che sembrava dare alla sua vita.
Non sopportavo che, visto come aveva trascorso i primi anni della sua esistenza, qualsiasi cosa buona fosse una sorta di regalo da ripagare per lui.
No Mason, quelle poche cose belle che hai, ti spettano di diritto.
<<Mi dispiace. Mi dispiace averti fatta preoccupare>> sussurra, la voce che gli si rompe proprio quando mi tira a lui e mi bacia.
Ancora una volta ti scusi per le cose sbagliate.
Ma non parlo più quando le sue labbra toccano le mie, non parlo più quando sentirmelo addosso, vivo, è tutto quello che voglio adesso.
Una voce si schiarisce sull'uscio, e solo allora ci stacchiamo.
E solo ora che noto una mia collega sulla soglia, mi ricordo di dove siamo.
Hannah è sconvolta, anche se cerca di non mostrarlo, e io non so quanti pettegolezzi gireranno adesso sul mio conto, per via di questa scena che lei si è trovata davanti.
Ma non mi importa. Non importa più.
<<Avery. Signor... Davis. Scusate. Ma ti ho portato le tue analisi>> mi informa, con la povera cartella torturata dalle sue dita, e in uno stato di palese imbarazzo.
<<Grazie Hannah. Tutto ok?>>
<<Ehm, sì. C'è una cosa.. ma guarda tu. Quell'esame che hai chiesto>>
Mi passa la cartella, avvisa Mason che presto avrà anche i suoi di risultati, e ci lascia soli mentre io scorro subito i fogli alla ricerca di un esame in particolare.
<<Avery? C'è qualche problema? Che esame hai chiesto? Stai bene?>>
Mason e le sue domande a raffica diventano una specie di musica di sottofondo mentre io leggo e rileggo un'unica parola, e cerco di capire come mi sento in proposito.
Bene.
Terrorizzata. Emozionata. Incredula.
Ma bene.
Bene, bene, bene.
<<Mason?>>
<<Si?>>
<<Aspetto un bambino>>

Finché Respiro (Until I Breathe #1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora