Jude
Mark ci ha portato da mangiare, ma né io e né Jade abbiamo toccato cibo.
Non appena è tornato giù con quelli che dovevano essere dei tramezzini, sia io che lei abbiamo iniziato a sputargli addosso i peggiori insulti.
Non avevo mai sentito tante minacce o tante parole poco gentili uscire dalla bocca di una ragazza, ma il modo in cui Jade aveva trasformato la paura e il panico in rabbia e combattività, non mi aveva sorpreso poi molto. Ormai lo avevo imparato che era una ragazza dalle mille sfaccettature.
Comunque, Mark era rimasto impassibile davanti alle nostre sfuriate, e prima di andarsene mi aveva persino legato accanto a Jade come gesto gentile.
Lo aveva fatto per lei, e questa era la sua contorta maniera di mostrarle che in fondo non era poi tanto cattivo. O almeno, non con le persone a cui teneva.
Davvero un bel modo di mostrarle affetto, eh?
Questa era la conferma di quanto fosse fuori di testa.
Almeno però, anche se non potevo né toccarla e né stringerla, adesso avevo il suo corpo sempre più magro addosso, e il mio viso poteva raggiungere il suo.
Data la situazione, la cosa ci era di conforto.
<<Che ore saranno?>> bisbiglia Jade, le palpebre che si fanno sempre più pesanti ma che si rifiutano di cedere, e la voce flebile.
<<Non ne ho idea. Notte inoltrata forse>> le rispondo, prima di posarle l'ennesimo bacio sulla testa.
<<Domani mattina mia madre verrà a cercarmi>>
<<Spero che ti trovi>>
Jade solleva il viso dal mio petto per osservarmi -per controllare quanta speranza sia rimasta dentro ai miei occhi-, annuisce, e poi sporge il viso verso di me per un bacio.
La accontento, e poso le labbra screpolate e aride sulle sue, che non stanno certo meglio.
<<Mi racconti una storia?>> mi domanda dopo un po'.
<<Che tipo di storia?>>
<<Fai tu. Una storia>>
Penso subito a una qualunque delle favole che da anni leggo per Summer. Ma non credo proprio che intenda qualcosa del genere, e che si aspetti che dalla mia bocca esca La Bella Addormentata Nel Bosco o Il Brutto Anatroccolo.
<<Ne avrei una>> decido di getto. <<Non è una bella storia però>> la avverto.
Lei mi guarda perplessa, ma non dice nulla.
Allora io mi schiarisco la voce, raccolgo tutta la forza interiore che mi serve per pronunciare le parole seguenti e per ricordare -tutta la forza che mi serve per fare i conti su come mi sentirò dopo- e comincio.
<<Sei anni fa, a Charleston, viveva il ragazzo più spensierato del mondo. Era anche un po' immaturo e un po' viziato forse. Perché la vita fino a quel momento, gli aveva sempre sorriso>>
<<Il fatto che il mondo ti sorrida, non è una colpa>> mi interrompe Jade, notando il tono amaro e sprezzante con cui ho iniziato a raccontare.
<<No, hai ragione. Però diventa una colpa se ti ci abitui, e pensi di poter sempre fare ciò che vuoi senza conseguenze. Diventa una colpa, se poi non hai il coraggio di farci i conti, con quelle conseguenze>>
E conseguenza, non era neppure la parola esatta.
Perché era un termine che portava con sé una valenza negativa.
Quello che era accaduto invece, in realtà era l'ennesimo regalo.
Solo, mi ci era voluto del tempo per capirlo.
<<Jude. Questa è la tua storia, vero?>>
<<Sì. Vuoi ancora sentirla?>>
<<Certo>> acconsente, poggiandomi la testa sul petto.
Bene. Sarà più facile parlare se non devo guardarla in viso.
<<Stavo dicendo... ero proprio tutt'altra persona rispetto alla versione di me che conosci tu, Jade. Il tempo che non passavo a studiare, lo passavo a divertirmi con gli amici e a fare casino. E con le ragazze>>
La sento irrigidirsi appena alla mia ultima ammissione.
Credo che sia un pizzico di gelosia la sua, e forse è impossibile non provarne nonostante non abbia proprio nulla di cui preoccuparsi.
Però, riconosco che sapere che nella mia vita c'è stata una donna con cui ho dato alla luce una bambina, non potrebbe mai lasciarla indifferente.
Io ringrazio il cielo di non dovermi preoccupare di nessun suo ex ragazzo.
<<Non c'è molto da dire sulla madre di Summer. Era una ragazza come un'altra, una che avevo conosciuto a scuola e che era abbastanza carina da aver attirato il mio interesse. Era una a cui piaceva divertirsi, proprio come al sottoscritto. Siamo stati attenti quando lo abbiamo fatto, e non so come sia successo ma due mesi dopo me la sono ritrovata in lacrime davanti alla porta. In lacrime, che ripeteva ininterrottamente di essere incinta. Non scorderò mai il terrore che ho provato in quel momento. La voglia di scappare via da tutto questo, il panico all'idea di dirlo ai miei genitori, l'angoscia per le immagini di me chiuso in casa con un bambino piccolo di cui non avevo idea di come prendermi cura. La tentazione di lasciarmi quella notizia alle spalle, come se fosse una cosa da niente, una cosa che si potesse ignorare... come se non si trattasse di aver dato vita a un nuovo essere umano>>
Sono così dentro alla storia e alle mie stesse parole, così dentro ai ricordi, che soltanto quando mi fermo per prendere fiato mi accorgo del naso di Jade che mi strofina il collo per darmi forza e tranquillizzarmi come può.
Avverte la mia angoscia.
<<Nell'esatto istante in cui ho scoperto di essere padre Jade, mi sono trasformato in uno di quei bastardi che si criticano in città, in tv, nei film. Uno di quelli che, prima si divertono fregandosene delle possibili conseguenze, e poi abbandonano i propri figli. Proprio uno di quegli uomini che non sono più uomini>>
<<Jude, smettila! Non sei scappato. Sei qui. Sei rimasto con lei>> mi rimprovera, forse incapace di sentirmi parlare così di me stesso.
Ma io ho bisogno di farlo. Ho bisogno di essere duro.
Perché per quante volte mi sia guardato allo specchio e abbia preferito abbassare lo sguardo, altrettante non ho mai trovato il coraggio di dirmi a voce alta ciò che penso davvero di me stesso. Ed è come se lo stessi facendo adesso, perché mentre lo dico a lei, io parlo soprattutto con me.
E perché in mezzo a tutto il male che può farmi esprimere a voce ciò che sono stato, mi fa anche bene.
<<Sì che sono scappato, tu non sai ancora come sono andate le cose. Ma ci sto arrivando. Sai cosa le ho risposto mentre lei singhiozzava ed era -ovviamente- anche più spaventata di me? Io non lo voglio questo bambino. E lei era d'accordo con me: nessuna ragazza di quindici anni con un mucchio di sogni nel cassetto e tanta voglia di divertirsi avrebbe intenzione di mettere tutto in stand- by per diventare madre>>
E nessun ragazzo che fino a quel momento non sapeva neppure cosa significasse la parola responsabilità, avrebbe avuto il coraggio di assumersene una tanto grande come crescere un figlio.
Mentre mi prendo una piccola pausa per riposare la bocca arida, mi costringo a guardare Jade.
Jade che ricambia l'occhiata con tanto di quell'amore.
Ma perché non mi disprezzi, eh?
Quasi quasi mi fa rabbia il fatto che lei non riesca a vedermi come mi vedo io. Macchiato.
Ma dopotutto, il peggio doveva ancora arrivare.
<<Alla fine, abbiamo deciso di comune accordo di darlo via. Di darlo in adozione. Stranamente, a nessuno dei due è mai passata per la testa l'idea di... sbarazzarcene. Tra me e lei invece, le cose si sono raffreddate subito, e credo che in fondo ci odiassimo pure. Era come se fossimo incapaci di prenderci le nostre colpe, e le affibbiassimo all'altro. Per tutti i restanti sette mesi della gravidanza, ho chiuso tutti i ponti con lei. Non le chiedevo del bambino, non le chiedevo come stesse, non le chiedevo se avesse bisogno di aiuto. L'ho lasciata da sola. Non ascoltavo nessuno, neppure i miei genitori. Non ne volevo sapere nulla di questa storia. Lei mi aveva chiesto soltanto di non abbandonarla anche il giorno del parto. E invece sai cosa ho fatto io in quella settimana in cui era prevista la nascita del bambino? Lo sai cosa ho fatto, Jade?>>
Temo quasi che non riuscirò a dirlo per quanto me ne vergogno.
<<Sono andato in vacanza con i miei amici. Sono scappato, si. Mentre mia figlia veniva al mondo, io ero a Los Angeles a cercare qualsiasi distrazione potesse aiutarmi a stare lontano dai pensieri che riguardavano quel casino in cui mi ero cacciato. Sono stati i miei genitori ad andare in ospedale al posto mio, quel giorno. E quando Summer è nata, mi hanno mandato un messaggio. Perché non rispondevo neppure al telefono. Li ho ignorati. E li ho ignorati quando mi hanno detto che dovevo tornare perché c'erano problemi con l'adozione. Più avanti, molto più avanti, ho scoperto che la bambina era nata con alcune complicazioni e sarebbe dovuta restare sotto controllo per un po'. Quegli stronzi che volevano adottarla, sapendo che poteva non essere del tutto sana, hanno strappato le carte dell'adozione e sono andati a cercarsi un altro bambino. Ipocrita da parte mia aver voglia di prenderli a pugni per averle voltato le spalle quando io -il suo vero genitore- ho fatto lo stesso, vero?>>
Adesso devi guardarmi per forza in modo diverso.
Per forza, Jade.
Adesso incontrerò i tuoi occhi, e ci leggerò dentro tutto il tuo disprezzo.
Lo so. Sono preparato.
Ero preparato.
Al disgusto.
Non a quegli occhi che mi guardano ancora nello stesso identico modo. Forse un po' dispiaciuti. Ma neanche un po' meno innamorati.
<<Ma Summer sta bene, vero? Cioè, a parte ciò che le è accaduto dopo... fisicamente sta bene?>>
<<Sì. Falso allarme. Due giorni dopo era già fuori dall'ospedale, e sana come un pesce>>
<<Grazie al cielo. Finisci la storia Jude>> mi prega.
<<Quando sono tornato a casa, non avevo il coraggio di guardare i miei genitori in faccia. Appena ho messo piedi in cucina, e li ho trovati a fare colazione, ho scoperto che erano loro che non volevano incontrare i miei occhi. Pensavo di fargli schifo come figlio. Invece, non sapevano come dirmi quello che avevano fatto. Non ne hanno avuto il tempo, perché un pianto si è liberato per tutta la casa. Io mi sono paralizzato sul posto, e mentre mia madre correva a calmare la bambina, mio padre mi spiegava che non avevano avuto il cuore di lasciarla agli assistenti sociali, e che l'avevano adottata loro. Che sarebbe vissuta con noi. Che non avrei dovuto fare da padre, ma solo da fratello. Ero furioso, Jade. Ho cominciato a urlare, a chiedergli come avevano potuto farmi questo, farmi vivere con il ricordo di ciò che avevo fatto a un passo dalla mia stanza. Per giorni non ho più parlato con loro. Per un mese, non ho voluto neppure guardarla quella bambina, né restare nella stessa stanza con lei. Sentivo soltanto i suoi pianti, la notte. E mentre lei piangeva, mentre lei mi ricordava che esisteva e non potevo più ignorarla, io mi disprezzavo in silenzio>>
<<Jude. Eri troppo giovane per aspettarti un comportamento da adulto da te stesso. E detesto che tu abbia dovuto passare tutto questo da solo.... avrei voluto già esserci>>
Oh Jade.
A volte mi chiedo cosa ci sia nella tua testa.
<<Non giustificarmi. Ho bisogno di arrivare alla fine, prima di perdere la voce. Poco più di un mese dopo, i miei si sono beccati entrambi l'influenza. Una sera sono tornato tardi dopo essere uscito, e mentre sono passato dalla sua camera che era proprio accanto alla mia, l'ho sentita emettere dei versi. Era sveglia, e anche se non stava piangendo e non sapevo decifrare quei suoni, mi sono preoccupato. Sentivo spesso ai telegiornali di bambini che soffocavano nel sonno o cose del genere, e l'ho avvertita nel petto la paura che potesse stare male. Avrei dovuto chiamare i miei, ma poteva essere una cosa da niente e loro stavano male oltre ad essere già stravolti per occuparsi di un neonato da settimane. Sono entrato nella stanza. Mi sono affacciato alla culla. E per la prima volta, l'ho vista e ho incontrato i suoi occhi. I suoi occhi identici ai miei. Stava soltanto gorgogliando mentre agitava le manine verso le farfalle appese alla culla, ma appena mi ha visto ha smesso. Non potrei mai spiegarti a parole quello che ho sentito mentre ci siamo guardati. Sono finito sotto incantesimo. Mi sono innamorato e sono diventato un'altra persona nel giro di due secondi. Ho allungato una mano, e lei mi ha stretto un dito. E io ho conosciuto la felicità Jade, proprio in quell'istante. Poi l'ho presa in braccio, e ho avuto la certezza che non avrei mai più potuto lasciarla. Credo di essere diventato padre solo quella notte. E, per tutta la notte, mentre la tenevo in braccio e la guardavo dormire, ho pianto per ciò che avevo fatto. Mi sono sentito uno stupido per essermi perso un mese di lei, e per aver perso una figlia. Perché ormai non era più mia. Io ho cominciato a sentirmi padre, ma lei non era più mia figlia. Quando l'ho realizzato, mi è mancato il respiro>>
La cosa più bella che avevo fatto in sedici anni.
Avevo preferito gettarla via come se non valesse niente.
Non avevo capito.
Non avevo capito un cazzo della vita.
E alla fine si che avevo pagato le conseguenze delle mie scelte.
Le conseguenze, quelle vere.
<<Quel giorno, ho anche cominciato a crescere davvero, finalmente>>
La mia voce si affievolisce, e io torno al presente. E solo ora mi accorgo delle lacrime sul viso di Jade.
<<Non volevo turbarti>> bisbiglio.
<<Non sono turbata. Tu non ti rendi conto di come parli di lei. È... impressionante. Sento il tuo amore e sento il tuo dolore, e sento che ti amo sempre di più Jude>>
No, no, no. Non erano queste le parole che doveva rivolgermi.
Ma, Dio se me le prendo e le faccio mie.
E poi, con le labbra le asciugo le lacrime. E poi, la bacio finché non smette di piangere.
<<Non è affatto vero che non è una bella storia. E non è detto che non possa diventarlo sempre di più, perché la tua storia non è ancora finita, Jude. E se è valsa la pena di viverla, lo deciderai tra non meno di settant'anni>> afferma convinta.
Cavolo. Settant'anni è tanto tempo.
Le sorrido.
La guardo, e le sorrido.
La guardo, le sorrido, e per la prima volta in vita mia guardo tanto lontano da vedermi adulto.
Tanto lontano, come tra settant'anni.Indovina chi vedo accanto a me, anche dopo tutto questo tempo tesoro?
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Finché Respiro (Until I Breathe #1)
ChickLit#1 La Storia Di Jade e Jude "Se fossi una favola, saresti Alice nel Paese delle Meraviglie. Hai la follia del Cappellaio Matto e il sorriso dello Stregatto." * * * Era iniziato tutto come un gioco fra Jade e Jude. L...