Jude
Quel pomeriggio, sto proprio andando a trovare Carter in ospedale quando ricevo una sua chiamata sul cellulare.
In quel momento, credo che voglia chiedermi di nuovo di portargli del cibo commestibile e che non sappia di croccantini per gatti.
O che gli serva uno stupido favore di qualsiasi altro tipo.
Non mi aspetto certo la sua voce agitata e preoccupata che mi prega di raggiungere in fretta l'ospedale per controllare come stia Jade.
Anzi no, la sua voce che mi prega di correre a controllare come stia Jade.
Perché suo fratello se l'è trascinata via dalla stanza come un tornado.
Carter prova a spiegarmi la situazione, ma io ci capisco davvero ben poco. Un po' perché lui per primo è più confuso di me, e un po' perché il mio cuore batte così forte da impedire alle mie orecchie di concentrarsi su qualsiasi altra cosa.
Alla fine, chiudo la chiamata e mi metto a cercare Jade per tutto il perimetro della struttura.
E qualche minuto dopo, trovarla tra le braccia di Jonas con un dannato coltello premuto sulla guancia, mi toglie dieci anni di vita e qualsiasi briciolo di lucidità.
Qualsiasi.
Non ne resta più neppure un granello.
La furia travolge tutto, e travolge pure Jonas, perché pur di allontanarlo da lei mi getto addosso a lui, e per l'impatto lo faccio franare a terra.
E poi, mi metto a cavalcioni sul suo petto e gli sferro un paio di pugni.
D'accordo, più di un paio.
Lo picchio come non ho fatto mai con nessun altro.
Lo picchio come solo un bastardo che mette le mani su una donna merita di essere picchiato.
La violenza non è mai la soluzione, la violenza non è mai la soluzione, la violenza non è mai la soluzione.
Però a volte, la violenza è anche più forte di te e di tutto il buon senso che credevi di avere.
È solo quando trovo la forza di dirmi basta e mi allontano, quando prendo Jade tra le braccia e me la porto al petto, che piano piano riacquisto lucidità.
Starà bene. Sono arrivato in tempo. È solo spaventata.
Sono.Arrivato.In.Tempo.
Mentre la stringo in un abbraccio che le toglie il respiro -mentre più che darle conforto, cerco nel suo corpo conforto per me stesso- non sento quello che Jonas mi urla contro, e non sento neppure le parole di Jade.
Ho ancora il cuore che fa troppo rumore, ma passarle le dita tra i capelli e controllare con i miei occhi che sta bene mi...
No.
Non sta bene.
Ha un taglio sul fianco, proprio sotto al seno, che perde un sacco di sangue.
L'ha ferita. Jonas l'ha ferita.
E io vorrei solo tornare indietro e ricominciare a prenderlo a calci.
<<Cazzo! Ti devo portare in ospedale Jade>> dico agitato.
Le mie mani sono sporche del suo sangue ora.
E io mi sento dentro ad un film dell'orrore.
<<No! Chiamerebbero mia madre e lei non lo deve sapere, ne morirebbe! Per favore, non è un taglio profondo, posso guarirlo da sola?>>
È più presa dal panico adesso che cinque minuti fa, mi chiedo come sia possibile.
<<Da sola? Vieni almeno con me>> provo a contrattare.
<<No Jude, non verrò con te soltanto perché ti senti in colpa o...>>
<<Sai che c'è? Non era una domanda. Tu vieni con me>> la interrompo, non volendo ascoltare un minuto di più le idiozie che le stanno uscendo di bocca, e non volendo spiegare come stanno davvero le cose.
Le prendo la mano, pronto a trascinarla via, mentre Jonas si rialza a fatica da terra e mi sputa addosso altre parole.
<<Chiudi quella dannata fogna che ti ritrovi al posto della bocca se non vuoi che ti denunci e te ne dia ancora! Sei malato cazzo! Ho chiuso con te !>> gli urlo in risposta, mentre conduco Jade verso l'auto.
Prendo la mia felpa dal sedile posteriore, e gliela premo sulla ferita prima di farla sedere davanti.
Poi vado al posto di guida, e prima di partire chiudo un attimo gli occhi per calmarmi e capire cosa fare.
In tutto ciò, mi ricordo anche della versione del sottoscritto che ha appena visto.
Quella che veniva fuori in palestra, e che non ho mai voluto scoprisse.
<<Jade. Non so neanche cosa sono diventato mentre picchiavo Jonas. Dio, devo averti terrorizzata>>
Mi sforzo di guardarla, e ovviamente -ovviamente cazzo- nei suoi occhi non ci trovo niente di ciò che dovrei trovarci.
Non è spaventata, non da me.
E non è turbata, non per ciò che ha visto.
<<Ti sembro terrorizzata? Non hai cominciato tu a usare le mani. Quel bastardo mi ha ferita. E forse voleva fare anche di peggio. Tu mi hai solo difesa. E vendicata. E visto che non avrei mai potuto denunciarlo, credo che avessi bisogno di vederlo in quello stato. Sono rimasta lì a guardare mentre lo facevi Jude. E non mi dispiaceva neanche un po'>>
Non ho alcun dubbio sul fatto che sia sincera.
E non dovrei neppure più averne per quanto riguarda la sua capacità di sorprendermi.
La perfezione.
Ecco cosa sei Jade Sloan.
Almeno, alcune volte.
<<Grazie>> aggiunge.
Annuisco, e poi ribatto un di niente, come se stessimo parlando di uno stupido favore da poco, uno di quelli che sono all'ordine del giorno.
<<Ecco cosa faremo. Passerò da casa a prendere un po' di roba per medicarti e per sistemarci per la notte -perché immagino che tu non voglia neppure tornare da tua madre finché non ti riprendi, no?- e poi ti porterò in una delle abitazioni appena costruite dall'azienda di mio padre. La maggior parte sono vuote, devono ancora essere vendute, e c'è tutto quello che potrebbe servirci. Be', tranne la luce>>
<<Jude, è troppo disturbo, no>>
<<Non è troppo, è niente. E non è negoziabile>> chiarisco.
Sono irremovibile al riguardo.
<<Tu ti senti solo in colpa per non avermi protetta. Perché hai questo ossessivo bisogno di proteggere tutti quelli che ti stanno attorno>>
<<Tutti quelli che mi stanno attorno? No. Solo quelli che amo>>
Quelle parole filano via dalla bocca prima che possa fermarle.
Guardo l'effetto che hanno su di lei, guardo i suoi occhi addolcirsi, e poi metto in moto.
Mi faccio raccontare ciò è successo, e anche se in modo evasivo, mi dice qualcosa, poi restiamo in silenzio finché non la faccio entrare in casa.
L'abitazione è piuttosto grande, ed è ancora arredata con le sole cose essenziali, ma ce la faremo andare bene.
Chiudo la porta, afferro la mano di Jade -e non so se è per guidarla o semplicemente per risentirla tra le mie- e la porto verso il bagno.
La faccio sedere sul bordo della vasca, e le sollevo il viso per scrutarla e capire meglio come sta.
<<Che fai?>> borbotta circospetta.
<<Cerco nei tuoi occhi quello che non mi dirai a voce. Non ti fa davvero troppo male?>>
<<Davvero, è sopportabile>> conferma, anche se ogni tanto fa una smorfia di dolore. Poi mi spinge via la mano.
<<Che c'è adesso?>>
<<C'è che sei un accidenti di controsenso vivente! E d'accordo, forse adesso posso sembrarlo anche io, ma non è che non sia contenta del fatto che tu mi stia finalmente vicino di tua spontanea volontà, il problema è il motivo per cui lo stai facendo>>
I suoi discorsi oggi mi piacciono meno del solito, ma inarco un sopracciglio e aspetto che continui.
<<Voglio che mi tocchi perché desideri farlo, che mi presti attenzione e decidi di tornare a respirare la mia stessa aria perché un po' mi capisci, perché al diavolo questa guerra ma quello che proviamo è più importante, perché possiamo anche combattere su due fronti opposti ma non stiamo uccidendo nessuno e possiamo amarci lo stesso. E invece adesso ti senti solo in colpa, cerchi di rimediare a qualcosa che non hai fatto ma per cui ti senti comunque responsabile>>
<<Stai dicendo un sacco di idiozie. E comunque non discuterò con te finché non ti farai curare quella ferita>> minimizzo.
<<Non sono sicura che mi stia bene che ti prendi cura di me. Non se lo fai perché ti senti in dovere, o...>>
<<La smetti di sparare cazzate? Sono preoccupato per te! Sono morto quando ho visto quel coltello che ti sfiorava la pelle, io non ho mai voluto che ti accadesse nulla del genere, mai!>>
E l'ho giurato a me stesso che Jonas non ti avrebbe toccata neanche con un dito.
E invece non ho potuto impedirlo.
Ma almeno ti ho difesa. Almeno ti ho salvata.
Finalmente assorbe le mie parole -finalmente, forse mi crede- e smette di ribattere.
<<Togli la maglietta>> le chiedo piano, dopo aver già spostato la felpa intrisa di sangue.
<<No>>
<<Fai la timida adesso? Devo vedere quella ferita, devo disinfettarla>>
<<Faccio da sola>> insiste.
Prende la borsa con il necessario per la medicazione dalle mie mani, e mi spinge fuori.
<<Jade!>> urlo, sbattendo il pugno sul muro.
Poi sospiro, e scivolo giù lungo la porta.
<<Sono qui fuori, proprio a un passo da te. Se hai bisogno, entro>>
Dio solo sa quanto lo voglia. In questo momento, sento tutta la frustrazione di non poterla aiutare. In qualche modo, diventa un bisogno mio.
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Finché Respiro (Until I Breathe #1)
ChickLit#1 La Storia Di Jade e Jude "Se fossi una favola, saresti Alice nel Paese delle Meraviglie. Hai la follia del Cappellaio Matto e il sorriso dello Stregatto." * * * Era iniziato tutto come un gioco fra Jade e Jude. L...