Capitolo 7

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Ho sempre amato leggere, sin da quando ero bambina.

Sono sempre stata dell'idea che l'amore fosse solo una debolezza, pur non avendolo mai realmente conosciuto, ne ero convinta. E lo sono tutt'ora.

Quando ero piccola vivevo in una splendida bolla di felicità, avevo come dimostrazione d'amore l'affetto che vedevo riflesso negli sguardi dei miei genitori. Adoravo pensare a quanto potessero amarsi, e al fatto che un giorno anch'io avrei trovato la persona giusta che mi avrebbe fatto provare quel sentimento bellissimo. Ma poi le mie infantili e splendide certezze iniziarono a crollare. Mio padre partiva la mattina presto per andare a lavorare, o così diceva lui, per poi tornare a notte fonda, con la puzza di alcool e fumo addosso. Oppure non tornava affatto. Arrivai ad un punto in cui iniziai a sperare che non tornasse. Ero piccola, ma non ero stupida; avevo capito che le cose tra mamma e papà non andavano come prima, ma non volevo crederci. Quando arrivava l'ora di andare a dormire, salutavo mia madre e poi mi rannicchiavo dentro il grande armadio di camera mia, tappavo le orecchie e mi ripetevo che sarebbe andato tutto bene. Che non mi avrebbe trovato. Ma ovviamente, per la maggior parte delle volte, non era così.

Quando una di quelle sere rientrò a casa prima del solito, mia madre stava preparando la cena, mentre io e Kathy giocavamo insieme. Fece il suo ingresso in salotto, ma mia madre era esausta di quella situazione. Fece si che se ne andasse di casa la sera stessa, e da quel momento non fece più ritorno. E la mia piccola bolla esplose in un milione di frammenti, disperdendosi nel nulla totale.

Perciò, è buffo che mi piaccia così tanto leggere questi assurdi romanzi traboccanti d'amori eterni e sdolcinati. Non ho mai amato nessuno in quel modo. E di certo non ho intensione di farlo ora. La vita pone sul cammino di ogni uomo un ostacolo dietro l'altro, perché mai dovrei aggiungermi un peso nel petto permettendo a qualcuno di entrare nel mio cuore, dandogli così il potere di distruggermi come meglio può, quando vuole lui.

Eh, no. Non fa per me.

E' quasi ora di cena, mia madre è al piano disotto a preparare qualcosa da mangiare.

Decido di lasciar perdere il mio libro strappalacrime sull'amore e vado da lei a dargli una mano per apparecchiare la tavola.

Quando entro in cucina la trovo davanti ai fornelli che canticchia una vecchia canzone dei Queen. Mi fermo sulla porta ad ascoltarla divertita.

"Im burnin through the sky, yeah

Two hundred degrees

Thats why they call me Mister Fahrenheit

Im traveling at the speed of light

I wanna make a supersonic man out of you.

E io nel sentire quanto è stonata non riesco a trattenermi oltre e scoppio a ridere di gusto. Lei sobbalza voltandosi nella mia direzione e accorgendosi della mia presenza si mette a ridere insieme a me.

Se Freddie Mercury ti sentisse si rivolterebbe nella tomba. la prendo in giro. Se cè una cosa che io e mia madre abbiamo in comune sono i gusti in fatto di musica. Daltronde sono cresciuta con i suoi vinili di vecchi cantanti o band degli anni ottanta a tutto volume per casa. Lei mi guarda con un espressione di falsa offesa e prima che me ne accorga mi ha già lanciato uno strofinaccio da cucina.

Non sono poi così male! esclama. E probabilmente per aver visto la mia espressione sorpresa scoppia di nuovo a ridere, con me che la seguo a ruota.

Dopodiché, laiuto ad apparecchiare la tavola e prima di pensarci troppo decido di buttarmi e dirle della festa.

"Mamma, dopo cena vado a casa di Michael Mitchell, fa un'altra delle sue feste. Ci sono anche Emily e Nate. Per te va bene?"

"Si, certo. risponde distratta, eppure nel suo tono di voce cè qualcosa che non riesco ad interpretare. A che ora devi essere lì?"

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