Capitolo 30

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Lui è qui, a un passo da me, che mi guarda come se ci fosse qualcosa che valga la pena di essere guardato in me. Fa un paio di passi nella mia direzione e mi circonda la vita con le sue braccia, poi avvicina il suo viso al mio collo e mi lascia una scia di baci fino all'angolo della bocca.

"Voglio stare con te." sussurra, e il suo respiro caldo sul collo mi fa venire la pelle d'oca.

"Intendi in una vera relazione?" dico con la voce che trema leggermente. Lui alza il viso e mi guarda negli occhi con un sorriso dolce e pieno di aspettativa.

"E' quello che vuoi?" mi domanda spostando la sua mano dalla mia vita al mio viso, accarezzandomi la guancia con il pollice. Ma nonostante le straordinarie e spaventose sensazioni che il suo tocco sprigiona in me, la mia bocca risponde alla sua domanda senza pensare.

"No." dico. E la sua aria dolce e serena viene rimpiazzata immediatamente da un espressione sorpresa e dura. Si stacca da me guardandomi corrucciato mentre si passa la mano tra i capelli per quella che mi sembra la millesima volta da quando lo conosco.

"Jane, io veramente non ti capisco, cazzo." sbuffa tirando un calcio al mobile accanto a lui. E io prego in silenzio che nessuno al piano di sopra sia stato svegliato da quel rumore.

"Io . . . mi dispiace, Will." sussurro e corro via salendo le scale fino a raggiungere la mia camera. Chiudo la porta a chiave e le lacrime iniziano a scorrere sul mio viso, mi accascio a terra con la schiena appoggiata alla porta della mia stanza e i singhiozzi diventano sempre più intrattenibili. Pochi minuti dopo bussano alla porta.

"Jane, per favore fammi entrare."

"No, vattene, Will." singhiozzo.

"Stai piangendo?" domanda lui con un tono di voce carico d'ansia.

"Ho detto vattene, cazzo!" sbotto. E rimprovero me stessa per essere crollata così davanti a lui ancora una volta.

Ma non si tratta di tristezza, è qualcosaltro. Frustrazione. Sono frustrate perché una parte di me, una grande, immensa, parte di me, vorrebbe cedere ai sentimenti, aprire questa porta e buttarsi tra le braccia del ragazzo che non può fare più a meno di pensare costantemente. Ma laltra parte di me, quella più piccola, più razionale e travolta dai ricordi, è terrorizzata e frena il desiderio di felicità dellaltra.

"No che non me ne vado. Fammi entrare." dice con convinzione. Sbuffo e consapevole del fatto che insisterebbe anche tutta la notte pur di entrare, decido di aprirgli la porta. I suoi occhi verdi mi scrutano attentamente, so cosa sta tentando di fare, prova a capire le motivazioni del mio strano comportamento. Ma non può capire, non può farlo nessuno. . .

"Vuoi dirmi perché stai piangendo?" mi domanda in modo cauto e quasi comprensivo.

"Non . . . non è di una relazione che ho bisogno adesso, non significa che non la voglio, ma semplicemente che non mi sento in grado di sostenerla." singhiozzo così forte che dubito lui capisca una sola parola di quelle che dico. "Ho visto l'amore dei miei genitori infrangersi davanti hai miei occhi per un'intera infanzia. Non sto dicendo che il nostro sia amore . . . è solo che sono cresciuta con l'idea che tutto sia destinato a finire e l'unica cosa che dura è il dolore. E non voglio che quello che c'è tra noi finisca come . . ."

"Ssshh . . ." mi interrompe prendendomi tra le sue braccia, ancora scossa dai singhiozzi. E mentre mi stringe a sé, mi sembra di sentire i milioni di pezzi frantumati in me ricongiungersi tra loro, tenuti insieme dal suo abbraccio. Siamo accasciati sul pavimento, lui in ginocchio che sorregge me, in una posizione apparentemente scomoda. E dopo quella che mi sembra un'eternità riprendo a respirare regolarmente e ci sediamo sul mio letto.

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