Capitolo 54

2.4K 58 16
                                    

La vita è composta da attimi, dicono. Attimi che fuggono, attimi che restano in eterno, attimi che durano meno di un millesimo di secondo e attimi destinati a durare un tempo inimmaginabile. Basta un attimo per rendere indimenticabile qualcosa, per essere felici come mai prima d'ora avremmo pensato di poter essere. Eppure basta anche un solo, piccolo e apparentemente insignificante attimo per porre fine a qualcosa. Infatti è bastato questo, un singolo attimo di distrazione, e mia madre è finita addosso ad un camion. E per cosa? Tutto per colpa mia.

Ci sono volute cinque ore e trentasette minuti prima di raggiungere l'ospedale di Los Angeles. Lo stesso ospedale dove si trova mia madre. E finalmente ora io e Will siamo proprio qui, nel corridoio di questo stupido ospedale a parlare con un infermiera che non vuole nemmeno farmela vedere.

"Glie l'ho già spiegato signorina, non sono autorizzata a farla entrare. Senza un documento che afferma che lei è realmente la figlia di Evelyn Lewis non posso farlo. Mi dispiace, queste sono le regole." ripete la donna minuta e grassoccia per quella che mi sembra essere la centesimo volta da quando siamo qui, ovvero quindici minuti.

"Io spero vivamente che lei mi stia prendendo in giro. Abbiamo fatto un viaggio di cinque ore e mezza per venire qui al più presto e lei non vorrebbe farmi entrare solo perché non ho un fottuto documento?!" sbraito.

"Jane, calmati, ora troviamo un modo per . . ." tenta di intervenire Will.

"No che non mi calmo! Mia madre è li dentro e io sono qui fuori! Ho tutto il diritto di vederla! E quanto a lei, se non mi lascia entrare io . . ." ma vengo interrotta da delle voci che conosco fin troppo bene.

"Jane . . ." singhiozza mia sorella venendo ad abbracciarmi, seguita a ruota da Josh. Ricambio l'abbraccio di mia sorella e poi saluto anche il suo ragazzo che non le stacca gli occhi di dosso. L'infermiera scontrosa di un attimo fa si schiarisce la voce per ricordarci della sua indesiderata presenza.

"Che succede?" domanda Kathy tirando su dal naso e asciugandosi gli occhi col dorso della mano.

"L'infermiera non crede che io sia la figlia della mamma." sbuffo.

"Oh. Signora, non si preoccupi, va tutto bene è mia sorella." le spiega Kathy, la quale ovviamente con il suo tono gentile e rispettoso riesce a convincerla. Dopodiché, io e Will seguiamo Josh e Kathy verso la sala d'attesa fuori la stanza della mamma e ci sediamo su alcune sedie li presenti. La sala è quasi vuota, eccetto ad un signore sull'ottantina che si tiene la testa tra le mani in silenzio, come se fosse intento a pregare. Chissà a chi sono rivolti i suoi pensieri, mi domando.

"Dunque tu devi essere Will, giusto?" chiede Josh, interrompendo quello straziante silenzio che si era formato.

"Ehm, si. Sono Will." risponde senza traccia di emozione nella voce. Io intreccio la mia mano con la sua e la stringo forte. Un gesto spontaneo, che però attira l'attenzione dei presenti. E mia sorella, che fino a un attimo fa sembrava con la mente da tutt'altra parte, pare accendersi all'improvviso e con uno sguardo incuriosito e sospetto, fa girare lo sguardo dalle nostre mani ai nostri visi e viceversa.

"Ma, voi due . . . io credevo che non andavate d'accordo, non pensavo che ci fosse qualcosa tra voi . . ." sussurra. Sento le mie guance tingersi di un colore scarlatto, lei non ne sapeva niente, era a New York per tutto il tempo.

"Questo spiega perché sei sparita dalla faccia della terra per due giorni e due notti. Eri con lui. Vero?" esclama, e quella che pensavo fosse una traccia di sollievo, si è trasformata in tutt'altro. "Eri a spassartela con questo qua chissà dove, mentre nostra madre era qui tutta sola in pena per te. Noi tutti eravamo preoccupati per te, Jane! E tu te ne vai così, senza avvertire?! Lasciando solo uno stupido biglietto?! Con un ragazzo che conosci a malapena da quanto? Un mese? Due? Devi aver perso completamente il lume della ragione." sbraita alzandosi e iniziando a fare avanti e indietro a grandi passi per la piccola sala d'attesa. Mi alzo anch'io e le vado incontro, lasciando la presa sulla mano di Will, un contatto di cui già sento la mancanza.
"Smettila! Tu non sai assolutamente niente di me e Will, chiaro?! Non conosci lui e non hai la minima idea di quello che c'è tra noi. Quindi lascia perdere."

"Quindi lo ammetti. Eri con lui." sbuffa con una risata ironica.

"Si. Ero con lui. Con lui e altri nostri amici. Avevamo litigato e dovevamo chiarirci così sono andata con loro a Las Vegas. Ma questo non ha importanza perché, ovunque io fossi o con chi, non sono affari tuoi va bene?!"

"Non sono affari miei, dice lei. Non sono affari miei?! Tu eri a Las Vegas a divertirti mentre mamma ha avuto un incidente! E se è successo è soltanto per . . ." ma la frase resta sospesa tra noi. Una frase che non ha bisogno di essere conclusa per venir compresa. Per colpa tua. Ecco cosa stava per dire.

"Per cosa? Cosa stavi per dire? Che è colpa mia?" la provoco. "Si, Kathy hai ragione. Hai sempre ragione tu. Io ero a Las Vegas a divertirmi, a passare il mio capodanno con il mio ragazzo e i miei amici, a ubriacarmi e a ballare. E, si, nostra madre ora è li dentro in coma per colpa mia. E' tutta colpa mia. Mamma ha avuto un incidente, è colpa mia. Papà ha deciso di andarsene, è colpa mia. Siamo entrambe senza genitori al momento, e indovina un po' di chi è la colpa? Esatto. Tutta mia." sbotto, mentre lei ha ricominciato a piangere e tremare. "Non è così? Non è questo quello che tutti mi hanno sempre ripetuto si da quando eravamo bambine? Quello che tu mi hai sempre ripetuto!"

"Jane . . ." sussurra debolmente. Ma non ho intenzione di sentire altro. Mi volto e il più velocemente possibile vado verso il bagno infondo al corridoio. Quando arrivo davanti alla porta le lacrime hanno già iniziato a scendere, ma non faccio in tempo a toccare la porta che una mano mi afferra il polso con una stretta ormai familiare. Mi volto e senza nemmeno guardarlo, perché so già di chi si tratta, mi getto sul suo petto in preda al pianto. E Will mi circonda le spalle con le braccia.

"Smettila di scappare, sono qui. Va tutto bene." mi sussurra all'orecchio accarezzandomi i capelli.

"No, non è vero. Non mentirmi, non c'è niente che va bene al momento." singhiozzo. "Ha ragione lei. E' tutta colpa mia. Soltanto colpa mia. Se mia madre non ce la dovesse fare io non . . .."

"Jane, ascoltami. Hai ragione, non devo mentirti, le cose non vanno bene per niente. Ma di una cosa sono certo, la colpa non è tua. Non potevi nemmeno immaginare che sarebbe accaduta una cosa del genere. Chiaro? Non è colpa tua. Non dovresti nemmeno pensarlo. E sono certo che se lei fosse sveglia ti direbbe la stessa cosa." dice con voce ferma e un espressione sincera e inflessibile sul viso.

"Will . . ." sussurro. "Ti ringrazio. Ma tu non sei obbligato a stare qui, saresti potuto restare a Las Vegas con i tuoi amici, oppure ora potresti essere a casa tua, a riposare. Hai guidato per più di cinque ore di fila senza sosta e sarai stanco sia dal viaggio che da ieri notte. Vai a casa, io sto bene." dico, talmente tanto veloce che ho paura che non abbia capito una parola.

"No che non stai bene." sbuffa.

"Si, ma non importa. Starò meglio. Vai . . ."

"Non vado da nessuna parte. Non finché tu sei qui." afferma sicuro, stringendomi nuovamente a se. E basta quella stretta a impedirmi di andare in mille pezzi.

Pochi minuti dopo rientriamo in sala d'attesa. Mia sorella è tra le braccia di Josh il quale le sta dicendo qualcosa per tranquillizzarla suppongo. Ma appena incrocia il mio sguardo si alza in piedi e viene verso di me.

"Jane, scusami. Non pensavo niente di quello che ho detto. Ero arrabbiata e ho detto cose stupide. So che non è colpa tua. Poteva succedere in qualsiasi momento, tu non c'entri niente. Mi dispiace."

"Dispiace anche a me, Kathy." le sorrido leggermente. Non ho più pianto dopo la chiacchierata sul corridoio con Will. E ora che ci penso non ho più pianto con nessuno tranne che con lui da quando lo conosco. L'unico che in così poco tempo ha visto così tanto di me. Più di chiunque altro.

"Oh Jane." dice lei prima di abbracciarmi. "Andrà tutto bene." aggiunge, ma so quello che sta facendo, sta tentando di rassicurare se stessa e non me. Perché io sono sempre stata quella che non sta mai male, quella che incassa i colpi in silenzio, quella che non versa mai una lacrima, quella che non dice mai ciò che pensa, quella che se dice di stare bene allora è così. Quando invece non lo è affatto.

"Si." le dico. "Andrà tutto bene." perché è questo quello di cui ha bisogno, di sentirsi dire che tutto andrà per il meglio.

Hope  Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora