ʙᴀᴄᴋ ᴛᴏ ʀᴇᴀʟɪᴛʏ

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ᴄᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 15

ᴄᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 15

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Ho evitato di assecondare il suo ennesimo dispetto, e la mattina seguente le ho fatto trovare la colazione a letto. Nonostante questo, ha arricciato il naso assaporando l'odore del caffè appena fatto. Poi è corsa in bagno, evidentemente furibonda per il modo in cui abbiamo concluso la serata. Le ultime ore in questa terra meravigliosa trascorrono velocemente. Arriviamo all'aeroporto in anticipo, stipandoci tra le sedie in sala d'attesa. Attendiamo che all'altoparlante annuncino il nostro volo per poterci avviare al gate. Adele è laconica da ieri. Non abbiamo parlato molto, benché abbia insistito fino alla nausea.

Volgo lo sguardo verso di lei mentre scartabella freneticamente le pagine del romanzo acquistato ieri. Tenera è la notte, Francis Scott Fitzgerald. La prima volta che l'ho letto ero al liceo, una vita fa.

Il suo indice si posa sulla parte alta della pagina, spostandola delicatamente per poter leggere la pagina successiva. Seguo ogni movimento, sollevando lo sguardo verso i suoi occhi fissi su quelle parole. "Ehi..." la richiamo, parlando con voce appena percettibile. Adele tira un grosso respiro, distraendosi per qualche secondo dalla lettura. "Possiamo parlare?".

"Sto leggendo. Non vedi?". Faccio di sì con la testa, serrando la mascella. "Il tuo libro aspetterà. Non ho intenzione di arrivare a Los Angeles in questo modo". Aspetta che sia io a parlare. Crede che debba farmi perdonare. Acconsento ancora una volta. L'alternativa sarebbe peggio.

"Mi dispiace. È la decima volta che te lo dico in tre settimane, lo so. Devi comprendere la mia posizione. Vedere ciò che sta succedendo, dal mio punto di vista. Tu avresti accettato un aiuto economico da qualcun altro?". "Certo" risponde senza esitazioni. "Sei diversa da me. Io mi sentirei in dovere di ripagare quel prestito, e vivrei con l'ansia fino al momento in cui dovrei dare indietro quei soldi".

"Non devi darmeli indietro. Sarebbe un finanziamento...". Alzo gli occhi al cielo, estenuato. "Ade, cerca di capire. Ti prego". Torna a leggere il suo libro, ammutolendosi nuovamente. Persino adesso, in questo momento che sembra preludere un disastro, mi sento legato a lei in modo indissolubile. Prendo tra le mani la rivista, facendo il suo stesso gioco. In meno di un'ora chiamano il nostro volo, e sono sollevato di potermene andare da questo iroso agglomerato. Ci mettiamo a sedere vicino all'oblo, atterrando in un'ora per lo scalo ad Atene. Attendiamo ancora un po' prima di arrivare a Los Angeles. Siamo a casa il mattino seguente, e il taxi ci porta a casa. Le valigie nel cofano. Adele accanto a me che osserva il paesaggio dal finestrino come se fosse un panorama nuovo. Avvicino la mano alla sua, sperando che non eviti il mio contatto. Non lo fa. Le mie dita si incastrano nelle sue. Lei le osserva mentre si intrecciano, alzando gli occhi su di me. "Vieni a casa mia? Facciamo colazione insieme".

"I miei mi stanno aspettando". "Devo ammetterlo..." sussurro, guardando con la coda dell'occhio l'autista nello specchietto retrovisore. "...è la prima volta che cercano di liberarsi di me con la scusa dei genitori". Adele soffoca una risata, e dopo due giorni di drammatico silenzio mi rivolge un sorriso d'approvazione. Il taxi ci lascia nel vialetto di casa mia. Prendo le valigie, per poi pagare la corsa. Posiamo le borse nel soggiorno, andando insieme in cucina. Adele si mette ai fornelli, preparando dei pancakes. Mi domanda se ho dello sciroppo d'acero o burro d'arachidi. "Nel primo ripiano della credenza" rispondo, apparecchiando la tavola. Impiatta alla perfezione i pancake uno sopra l'altro. Li spolvera con dello zucchero a velo. Infine aggiunge lo sciroppo d'acero e degli spicchi di mela. Ci sediamo in sala da pranzo, beandoci della compagnia reciproca.

"È un capolavoro questo piatto..." inizio a dire, mettendo fine al silenzio assordante "...hai mai lavorato nella cucina di un hotel?". Agguanta i pancake con la forchetta, facendo di no con la testa. "Ma vedo molti film. Ho preso ispirazione".

"Lo so che vedi molti film, quasi quanto me" mi sorride in modo imbarazzato, sorseggiando il succo d'arancia. "Devo andare a fare un po' di spesa oggi pomeriggio. Non è mai bello tornare a casa dopo tre settimane di assenza".

"Ma è tutto così uguale a come l'avevamo lasciato". Già, è così. Torneremo alla solita vita monotona di sempre. Lei riprenderà le lezioni all'accademia, ed io cercherò di non mandare all'aria il mio sogno. "Abbiamo ancora tutta l'estate davanti. Cosa faremo fino a settembre?".

"Io ti direi di fare un altro viaggio, ma non ce lo possiamo permettere" dichiara ironicamente, ripulendo il suo piatto fino all'ultima briciola. Torna il silenzio imbarazzante. Lei si alza per prima, andando in cucina. Si mette subito a lavoro per poter lavare i piatti e metterli nella lavastoviglie. La aiuto a riporli nella credenza. "Non siamo così male come coppia, no?". Lei forza un sorriso, rammentando i nostri continui litigi. Mi porge una ciotola, tornando con gli occhi sui piatti stipati nel lavabo. "Se vuoi tornare a casa, continuo io a pulire. Non preoccuparti".

"No, faccio io. Non avevo davvero intenzione di tornare a casa dai miei. Ho ancora bisogno di qualche minuto per elaborare la situazione". Serro le sopracciglia, allarmato. "Quale situazione?".

"Noi, che siamo tornati a Los Angeles dopo tre settimane di vacanza in Grecia. Abbiamo trascorso dei momenti bellissimi, e adesso dovremo ritornare alla realtà. Cosa ne sarà della nostra relazione?".

"Noi resisteremo, te lo prometto. Non c'è nulla che mi farebbe cambiare idea". Adele mi sorride, lasciando i piatti nel lavabo. Mi avvolge i fianchi, soffocando un pianto sul mio petto. "Non mi lasciare. So che a volte mi comporto in modo immaturo, ma ti amo". Le prendo il mento, facendole alzare lo sguardo su di me. "Non sei immatura, sei solo leggermente dispettosa". Quando il suo sorriso meraviglioso prende il posto della smorfia nostalgica, comprendo di saperci ancora fare con le donne, nonostante le mie sventure passate. Restiamo abbracciati per un tempo che mi sembra infinito, e allo stesso momento troppo breve. Scivola via dalle mie braccia, avvicinandosi alla porta.

"È meglio che torni, prima che mio padre chiami la compagnia aerea". Quando la vedo avanzare verso il taxi, percepisco una strana sensazione dietro al collo. Come se questo fosse un addio. Lascia le valigie nel cofano, per poi guardarmi un'ultima volta. Apre lo sportello, voltandosi. Quando incrocia il mio sguardo preoccupato, mi viene velocemente incontro buttandomi le braccia al collo. Mi prende da dietro la nuca, baciandomi con fervore. Mi tremano le dita mentre le sfioro i capelli. "Non preoccuparti, ci vediamo domani. Va bene?" annuisce, rantolando a pochi centimetri dalle mie labbra. "A domani, Will". Il taxi lascia il vialetto, e con esso anche le mie speranze di poter vivere la nostra storia senza paranoie. 

𝐔𝐧𝐧𝐚𝐦𝐞𝐝 | 𝐒𝐞𝐛𝐚𝐬𝐭𝐢𝐚𝐧 𝐒𝐭𝐚𝐧Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora