ᴄᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 7
Ci siamo addormentati tardi, lentamente, aggrovigliati l'una tra le braccia dell'altro. Al mattino, quando riapro gli occhi, lui è ancora avvinghiato a me e dalla sua presa decisa non sembra volermi lasciar andare. Non l'avevo programmato. L'ho ritrovato sulla porta, in tutto il suo splendore. Sta invecchiando bene, e i suoi occhi sono ancora così luminosi. Mi sono sciolta in quel ghiaccio bollente mentre mi interrogavo sulla mia sanità mentale. Will è sempre stato bravo in queste cose. Con un semplice sguardo, è capace di far crollare ogni difesa. Brontola nei miei capelli. Fuori è mattina e per la prima volta non ho voglia di uscire di casa. Alzo piano il suo braccio per potermi divincolare dal suo caloroso abbraccio, poi scosto le coperte e mi infilo la vestaglia. Lo osservo per qualche secondo, sorrido e torno ad essere la venticinquenne cotta del suo professore. Non ho più venticinque anni, e lui non è più un professore. Adesso siamo due persone normali che si desiderano con ardore, che non si sono dimenticati per tre anni e che vogliono vivere una sana relazione alla luce del sole.
Qualcuno bussa alla porta dell'ingresso, quindi socchiudo quella della mia stanza per poter andare ad aprire. Ritrovo Harry, con una busta di Starbucks tra le mani. "Sorpresa!" esclama, sporgendosi su di me per potermi baciare. Istintivamente volto la testa, ricevendo un bacio sulla guancia. "Ti ho portato la colazione".
"Lo vedo..." prendo tempo, sentendomi improvvisamente una sgualdrina. Bene, riecco quella sensazione di sconforto provata con la ex moglie di Will. "...non ho tempo per mangiare. Oggi devo essere sul set prima delle otto". "Vuoi che ti accompagno?". Scuoto la testa, accettando la busta che profuma di briosce appena sfornate. "Mi chiami quando torni a casa?".
"Certo" mi sorride dolcemente, per poi salire nel montacarichi. La luce dell'alba filtra attraverso la finestra della cucina. Odo dei passi alle mie spalle, e ritrovo Will sulla porta del corridoio. "Era Harry?" faccio di sì con la testa, poggiando la busta sul tavolo. "Non colpevolizzarti. Quello che è successo stanotte era questione di tempo. Sapevamo entrambi che ci saremmo ritrovati".
"Non ci riesco. Mi trovo in questo loop temporale, incastrata nella stessa afflizione di tre anni fa". Mi getto di peso sulla sedia. Lui cammina lentamente verso la cucina, preparando la caraffa del caffè. "Non abbiamo avuto modo di parlare ieri. Abbiamo prevalentemente sbraitato e poi...". Dichiara, rivolgendomi un sorriso malizioso. Sorrido anche io, prendendo i due croissant per poterli poggiare sui tovaglioli. "A che ora devi essere sul set?". "Alle otto".
"Bene..." lascia il caffè a percolare, venendo verso di me "...abbiamo un po' di tempo. Ora ci sediamo e parliamo". Ammiro le sue scapole, l'incavo del collo che mi attira come fossi un vampiro. "Va bene, però devi indossare una maglia". Soffoca una risata, prendendo la sua canottiera che se ne stava ancora sul pavimento. Sorseggiamo quasi in sincrono il nostro caffè, gustandoci i croissant caldi e ripieni di crema. "Parlami del teatro. Che cosa è successo?".
STAI LEGGENDO
𝐔𝐧𝐧𝐚𝐦𝐞𝐝 | 𝐒𝐞𝐛𝐚𝐬𝐭𝐢𝐚𝐧 𝐒𝐭𝐚𝐧
General FictionUn insegnante di teatro, dedica tutto sé stesso al palcoscenico, tentando di far affiorare nei suoi studenti la stessa passione che ha portato lui fin lì. Ha un sogno nel cassetto: debuttare a Broadway. Nel frattempo, instaura un rapporto con ognuno...