ɪᴛ'ꜱ ʙᴇᴇɴ ᴀ ʟᴏɴɢ, ʟᴏɴɢ ᴛɪᴍᴇ

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ᴄᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 5

Non credevo di potermi definire una stacanovista, ma è quello che sono diventata

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Non credevo di potermi definire una stacanovista, ma è quello che sono diventata. Sono una donna che si destreggia tra lavoro e casa, escludendo la propria vita privata. Harry vive ancora sul mio divano, e non sembra volersene andare nonostante la nostra discussione dell'altro giorno. È stato piuttosto laconico da allora, e non è da lui non fare commenti su ogni minima cosa. Il giorno dopo l'ho portato a Central Park, dopo aver fatto colazione da Starbucks. A pranzo abbiamo optato per un ristorante italiano. Lui si è seduto difronte a me, trangugiando ogni piatto con gusto. Ad un certo punto gli ho schioccato le dita davanti agli occhi, attirando la sua attenzione. "Possiamo parlare di ieri?".

"Ci siamo già detti tutto". "No, non tutto. Non mi hai detto la tua opinione. Cosa ne pensi di questa cosa, obiettivamente?". Harry ha drizzato le spalle, pulendosi la bocca con il tovagliolo. "Penso di averne abbastanza di New York. Domani torno in California".

"Senti, non puoi avercela con me perché ho preferito Will. Io e te non stavamo più insieme da un po' quando è cominciata. Non essere geloso". A quel punto ha soffocato una risata. "Non è gelosia, per Dio. È mancanza di rispetto". Siamo usciti dal ristorante, continuando a camminare sulla Madison. Lui si teneva distante, superandomi. Ad un certo punto ho creduto di averlo perso tra la folla, ma i suoi ricci castani si distinguono perfettamente dall'agglomerato newyorkese che continua ad usare sempre lo stesso look. La mia idea era di vedere il tramonto perfettamente allineato con la griglia di strada che attraversa la zona di Manhattan e New York. Questo fenomeno è chiamato Manhattanhenge e capita di vederlo solo due volte all'anno. Ciò nonostante, Harry si è affrettato a raggiungere la metropolitana per poter tornare a casa. Mi sono divincolata tra la gente, sgomitando e imprecando sottovoce. 

"Ma quanti anni hai?". Quando l'ho raggiunto, gli ho gridato contro attirando tutta l'attenzione su di me. Anziani, liceali e artisti di strada mi stavano osservando con scetticismo. Harry ha scrollato le spalle, indifeso. Appena abbiamo superato lo zerbino, gli ho fatto notare tutta la mia rabbia e il mio rimorso riguardo alle cose passate. "Ti rode che lui mi abbia fatta innamorare così facilmente, quando tu ci hai messo gli anni mentre mi facevi la corte durante le lezioni di canto..." ho tirato un grosso respiro, continuando: "Lo hai detto anche tu ieri. È l'invidia che ha parlato".

"Sì, forse è così. Vorrei spaccargli la faccia, anche se mi ha insegnato molte cose. Mi ha fatto capire che voglio diventare un cantante. Incidere un disco, girare il mondo in tour". "Non avercela con lui. Gli basterà il mio odio. Non serve che lo odi anche tu". I suoi occhi verdi si sono posati su di me, imperscrutabili. "Lo odi sul serio?". Ho ingoiato la saliva.

"Sì, lo odio eccome. Gli spaccherei la faccia se fosse qui". Nello stesso momento ho ricordato i suoi occhi, come mi faceva sentire averli addosso, le sue mani. Sì, lo odio. "Va bene, ci ordiniamo una pizza?". Harry mi ha sorriso dopo un giorno di tedio soffocato dall'ira. Abbiamo riso e scherzato, trangugiando la pizza più buona di New York. "Decisamente meglio di quella di Los Angeles" ha brontolato lui con la bocca piena. "Beh, no. Ci sono posti e posti".

𝐔𝐧𝐧𝐚𝐦𝐞𝐝 | 𝐒𝐞𝐛𝐚𝐬𝐭𝐢𝐚𝐧 𝐒𝐭𝐚𝐧Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora