ᴄᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 22
Una volta ritornati a casa mia, abbiamo ordinato la cena d'asporto per poi metterci seduti sul divano. Adele si è liberata dei suoi vestiti, indossando la mia camicia come sottoveste. "Se ti piace così tanto, te la regalo" scuote la testa, sorridendo. "Quando vengo da te, la prendo in prestito. Almeno il tuo profumo resta impregnato nel tessuto". Allora mi ruba i vestiti per questo, non perché sono comodi. "C'è un modo più piacevole per farti sentire il mio profumo addosso" le spiego, mettendole la mano dietro il collo per attirarla a me. La bacio, dapprima lentamente. Dopo la cerco con più intensità, inumidendo le sue labbra con le mie. Sposto il suo corpo sotto al mio, premendo la mano sul suo fianco destro. Con l'altra mano spingo verso il bracciolo del divano, sostenendo il movimento lento. Restiamo vestiti, continuando a baciarci per minuti. Adele mi afferra il viso, guardandomi negli occhi.
"Katie ha ragione. Io e te non abbiamo parlato molto da quando sono tornata". "Non c'è bisogno di parlare". Scuote la testa, tornando a sedersi. "Non esiste solo il sesso, Will. Ci sono ancora tante cose da chiarire". Alzo gli occhi al cielo, portandomi una mano nei capelli. "Ecco che ci risiamo. Per l'amor di Dio, non ce la faccio più". Ci scambiamo un'occhiata fugace, intrisa di rimorsi e sensi di colpa. Lei è la prima a spostare lo sguardo da me. "Non dovevamo goderci questo mese e mezzo, cercando di farlo passare lentamente e senza litigi?". Adele annuisce.
"E allora perché vuoi parlare di quello che è successo in passato? È passato. Ora dobbiamo pensare al futuro". "E pensi di farlo semplicemente scopando?". "No, per Dio. Per chi mi hai preso?!". Si alza in piedi, scrollando le spalle. "Penso che andrò a letto. Magari domani sarai di buonumore e potremo parlare come due persone adulte. Perché è questo che siamo, Will. O almeno io lo sono". Non la fermo. Sale svelta le scale, lasciandomi solo.
Non ha torto. So che ci sono delle cose di cui non abbiamo ancora parlato. Della mia gelosia, per esempio. Il corso di pugilato non mi ha aiutato poi così tanto. Lei non vuole che ci vada più, ma ne ho bisogno. Eviterò di incassare troppi colpi, tenendo lo sguardo fisso sull'avversario. Per la notte, resto a dormire sul divano allungandomi una coperta leggera sulle gambe e spegnendo l'abat-jour sul tavolino. Gli occhi si muovono a destra e sinistra intanto che cerco di prendere sonno. Non ci riesco.
Dopo un po' di tempo, posso ancora udire i rumori della città che provengono dalla finestra aperta in cucina. Mi metto a sedere, portandomi le dita nei capelli. Lo sguardo basso. L'orologio rintocca le quattro. Dovrò essere a lavoro tra cinque ore. Prendo la coperta, salendo le scale. Mi fermo sulla porta della mia camera, osservando Adele sotto le lenzuola. Si muove, incontrando il mio sguardo. "Sei sveglia?" annuisce, scostando le coperte per potermi accogliere accanto a lei. La raggiungo, attirandola a me. La abbraccio stretta, sentendola singhiozzare sul mio braccio.
"Mi dispiace" dichiara tra i singulti, rendendomi triste. "Non devi chiedermi scusa. Hai ragione". "No, Will. Intendo dire che mi dispiace aver preferito Broadway a te. Avrei dovuto dare un'occasione alla nostra storia. Avrei dovuto chiederti di venire con me. Non hai tutte le colpe per avermi lasciato andare". Si volta, guardandomi negli occhi. I suoi sono lucidi, arrossati. Premo la mano sulla sua guancia. "Abbiamo sbagliato entrambi, ma adesso siamo qui. Di nuovo insieme. Niente e nessuno ci separerà ancora" fa di sì con la testa, sfiorandomi il mento con le dita. "Un mese e mezzo. Poi dovrai tornare a New York. Resteremo in contatto, continueremo ad amarci profondamente. Quando potrai tornare qui, inizieremo a progettare per il futuro". "Me lo prometti?". Non le rispondo. Mi limito a baciarla, facendola sentire amata, desiderata.
[...]
Siamo rimasti a letto senza riuscire a dormire. Abbiamo parlato, riso, scherzato. Ci siamo baciati, sfiorandoci in ogni dove. Al mattino, qualche minuto prima che sorgesse il sole, ci siamo chiusi in cucina preparando pancake, uova e bacon. Parliamo ancora un po' prima che io vada a lavorare. "Tu cosa farai oggi?".
"Me ne starò qui a casa tua. Mi faccio una maratona di film e mangio schifezze". Una persona qualunque penserebbe che stia scherzando, ma io la conosco fin troppo bene. So che lo farà. "Nel mio studio c'è il computer. Se vuoi i dvd, li trovi..." lei agita la mano. "Non devi dirmi nulla. Pensa ad andare a lavoro. Poi torna da me". La bacio un'ultima volta. Raggiungo l'auto per dirigermi in ufficio. Oggi sono di nuovo felice, di buonumore. Le cose sembrano essersi sistemate. Appena incontro Frank alla macchinetta del caffè, gli parlo di Adele e lo invito da noi per cena. "E dovrei fare il terzo incomodo?".
"Che ti importa? Hai detto di volerla conoscere meglio, e anche lei non vede l'ora. Nonostante io gli abbia parlato dei tuoi difetti". Sgrana gli occhi, sgomento. "Amico, nessuno è perfetto". In quel momento, l'assistente del capo ci sfiora di sbieco. "Perché non la inviti ad uscire?" gli domando, incoraggiandolo con un cenno della testa. "Chi? La quattrocchi?". Alzo gli occhi al cielo.
"Sei prevedibile. Secondo me ti direbbe di sì. Prova a chiederglielo". Scuote la testa, come se fosse disgustato. "No, non mi serve una ragazza. Sto bene così". "E questo detto da un uomo che va ogni sera in discoteca in cerca di conquiste". Dopo questa frase, si volta verso Abigail – l'assistente – raccoglie un po' di coraggio e va da lei. Li vedo parlottare. Frank gesticola, e per un momento temo che possa fare un buco nell'acqua. È da quando ha divorziato che non ha un vero appuntamento con una donna. Lei sorride, andando via. Torna da me, con le orecchie arrossate e la fronte madida di sudore. "Responso?".
"Ha accettato" risponde, digrignando i denti. Gli do una sincera pacca sulla spalla, congratulandomi con lui. "E quando vi dovreste vedere?". Mi rivolge un'occhiata scettica. "Stasera, no?". "Stasera? Ma stasera sei invitato da me". "Lei è il mio più uno". Non mi dà modo di rispondergli, poiché avanza lesto verso la porta del suo ufficio, chiudendola alle sue spalle. La giornata trascorre lentamente. Evito di scrivere ad Adele. Devo restare concentrato.
Quando l'orologio rintocca l'una, prendo le mie cose e raggiungo l'ascensore. Volgo lo sguardo verso l'ufficio di Frank, salutandolo con un cenno della mano. Ora posso tornare a casa. Quando accosto nel vialetto, immagino di trovare Adele spaparanzata sul divano a guardare Il signore degli anelli. Con mia sorpresa, trovo la televisione spenta. La tavola è apparecchiata per due.
Un buonissimo profumo di peperoni proveniente dalla cucina, mi inebria le narici. Lascio la ventiquattrore, sfilandomi la cravatta. Adele appare sulla porta della sala da pranzo con una pirofila tra le mani. Alza lo sguardo su di me. "Oh, che spettacolo. A cosa devo tutto questo?". Si toglie i guanti da cucina, venendomi incontro. "Ho pensato che dovessimo festeggiare".
"Che cosa?". Si sporge sul mobile, afferrando dei fogli. È la mia sceneggiatura. "Perché non mi hai detto che stavi scrivendo uno script?". Mi allontano da lei, portandomi una mano nei capelli. "In realtà ha tre anni. L'ho iniziata quando eravamo in quell'albergo a Santa Monica". Il suo sguardo cambia. "Sai che c'è? Non mi importa quando l'hai scritta, e nemmeno che tu non me l'abbia detto. È molto buona".
Scuoto la testa, risoluto. "Per niente. È il delirio di un trentaseienne cotto, che si nasconde dietro ad una gelosia morbosa". "Allora parla di te..." ironizza, facendomi sorridere "...mi piace, Will. Dovresti farla vedere a qualcuno". Mi porge i fogli, mettendosi le mani sui fianchi. "Non ho speranze. Ho abbandonato quella vita. Ora lavoro per le pubbliche relazioni".
"Ma ieri hai detto a Katie che volevi risollevare la tua esperienza teatrale. Parlavi di questo? Parlavi della sceneggiatura che hai scritto?". Mi limito a fare di sì con la testa. "Sono fiera di te, amore mio. Sei nato per essere quello che hai sempre sognato di essere". Si alza in punta di piedi, baciandomi. Ha gli occhi lucidi. Una delle sue lacrime umide mi bagna la guancia. "Ed hai una fidanzata che è anche un'attrice. So già a chi rivolgermi". Ad un tratto sono terrorizzato.
"No, non credo sia il caso che tu...". Mi bacia di nuovo, per poi divincolarsi. Prende il cellulare, componendo un numero. Il cibo si raffredda sul tavolo intanto che lei parla con l'interlocutore anonimo. "Va bene, grazie. Ti devo un favore" dichiara, riappendendo. Torna da me, stringendo i pugni in aria. "È fatta. Hai un colloquio".
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𝐔𝐧𝐧𝐚𝐦𝐞𝐝 | 𝐒𝐞𝐛𝐚𝐬𝐭𝐢𝐚𝐧 𝐒𝐭𝐚𝐧
General FictionUn insegnante di teatro, dedica tutto sé stesso al palcoscenico, tentando di far affiorare nei suoi studenti la stessa passione che ha portato lui fin lì. Ha un sogno nel cassetto: debuttare a Broadway. Nel frattempo, instaura un rapporto con ognuno...