ᴄᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 20
Mi desto con un forte profumo nelle narici, un tocco caldo sulla pelle. Adele è ancora attaccata a me, la sua schiena che combacia con il mio petto. Le sfioro la spalla nuda con le dita, liberandola dai capelli che ricadono come onde sul suo viso terso e diafano.
Afferro le lenzuola per poterla coprire. Lei fa un piccolo movimento tra le mie braccia, strofinando la testa nel cuscino. Dovrei alzarmi ma non ci riesco, non voglio. Resto a contemplarla, mettendo un gomito sul cuscino e la guancia poggiata sulla mano aperta. Abbasso gli occhi verso il suo petto, seguendo il movimento del suo respiro lento. Le immagini stampate sul portfolio mi sono rimaste impresse nella mente, e tornano davanti ai miei occhi come diapositive mentre la vedo muoversi pigramente sotto le coperte. Volge il capo verso di me, restando con gli occhi chiusi, le labbra socchiuse. La osservo per un tempo che mi sembra infinito, ed esito dal toccarla per paura di svegliarla. China piano la schiena, contorcendosi lentamente. Ad un tratto sbatte le palpebre, alzando gli occhi su di me. "Mi stavi guardando dormire?" domanda, sembrando quasi irritata. "Forse". Allunga le braccia sopra la testa, per poi portarsi le lenzuola sul seno. "Che ore sono?".
"Oh, non lo so. Ho perso la cognizione del tempo". Adele soffoca una risata mentre io resto immobile. Si volta verso il comodino, guardando l'ora dalla sveglia. Tira un grosso respiro. "Oh, oggi è domenica". "Quindi abbiamo tutta la giornata libera" dichiaro, sciogliendo la presa e tornando sotto le coperte insieme a lei. "Non farti strane idee. Ho promesso a mio padre che sarei andata da loro per il pranzo".
"Oh, giusto". Alzo gli occhi al cielo, deluso. Le metto la mano sulla pancia, attirandola a me per il fianco. Lei posa le mani sul mio braccio, volgendo lo sguardo verso di me. "Non dovresti più guardarmi mentre dormo. È inquietante".
"Spero tu stia scherzando. Non è per nulla inquietante. Io lo trovo piuttosto romantico, e mi risulta quasi difficile non esitare con gli occhi sul tuo corpo". Ride ancora, mettendo la mano sotto al mio mento. "Ringrazia che sei così dannatamente bello e che mi risulta difficoltoso resisterti, altrimenti ti avrei fatto dormire sul divano".
"Ma questa è casa mia". Mi attira a sé, facendo incontrare le nostre lingue. Per un attimo si lamenta della mia barba che le pizzica le guance. "Abituatici". Prendo tempo, guardandola dritto negli occhi azzurri come l'oceano. "E dopo pranzo saresti libera?". "Cos'hai in mente?". Mostro un sorriso sardonico, continuando a baciarla. La stringo tra le braccia, scendendo con le mani verso le sue natiche per poterle tenere ancora tra le dita. Avevo detto a Edward e gli altri che avremmo fatto una rimpatriata una volta che Adele sarebbe tornata da New York.
Dovrebbe accadere oggi, anche se non li ho ancora avvisati del suo arrivo. Dopo la nostra uscita, non mi sono tenuto in contatto anche perché non sono riuscito a pensare in maniera lucida dopo che Adele mi ha chiesto di prenderci una pausa. Però adesso siamo qui, nudi, nel mio letto. Il periodo trascorso lontani l'uno dall'altra ha portato a questo: un amplesso lungo, intenso, mordace e sanguigno. Non è una novità per noi, che siamo soliti saltarci addosso ogni volta che ci rivediamo. Adele brontola sulle mie labbra. "Dovremmo alzarci e fare una sana colazione".
"No..." sbuffo, tenendola stretta "...è domenica. La domenica vuol dire riposo. La domenica è fatta per stare a letto, e se si è nudi tanto meglio". Preme la mano sul mio petto, facendomi aderire al materasso. Si mette cavalcioni su di me, chinandosi in avanti. Infila le mani tra i miei capelli, inumidendomi le labbra con le sue. "Sembra che neanche tu voglia alzarti" commento, afferrandole i fianchi. "Ho fame!" dichiara, continuando a baciarmi con avidità e desiderio. Mi metto a sedere, sfiorandole la schiena con le mani. L'amplesso perdura anche questa mattina di fine primavera, in cui facciamo fatica a staccarci gli occhi di dosso. Mettiamo contemporaneamente i piedi sul pavimento, poi lei va in bagno ed io scendo al piano di sotto per preparare uova e bacon. I pancakes avanzati della sera prima sono ancora sul tavolo, insieme ai nostri vestiti sparsi sul pavimento e il portfolio vicino al camino. Lo riprendo tra le mani, sfogliandolo velocemente per poi custodirlo nel sottoscala. Appena Adele torna da me, indossa i suoi vestiti ma ha ancora i miei calzini.
"Ho preso un altro paio di boxer" confessa, mostrandomi il bordo che fuoriesce dai jeans. "Appena vado dai miei, lavo tutto e te li riporto puliti". "Non preoccuparti" dichiaro, seguendo ogni suo movimento. Si siede dietro al tavolo, agguantando una striscia di bacon croccante. "Di questo passo, tornerò a New York con dieci chili in più". Finisco di preparare le uova, raggiungendola in sala pranzo. "A proposito, quanto resterai?". Si pulisce la bocca con il tovagliolo, per poi sorridermi. "Indovina".
"Due settimane" scuote la testa, mettendo i gomiti sul tavolo. "Riprova". "Tre?". Fa ancora di no con la testa, rendendomi felice. "Un mese?". Adele sorride entusiasta. "Un mese e mezzo. Dovrò ripartire a metà luglio". "Meraviglioso" bofonchio, prendendole la mano "E cerchiamo di far trascorrere questo tempo quanto più lentamente possibile".
"Lo spero, Will" mi bacia sulle nocche, tornando a mangiare. Ci godiamo una buona colazione in totale relax, ammiccando e facendoci smorfie a vicende, guardandoci abbuffarci di cibo. Dopo mi vado a fare una doccia mentre lei mette i piatti in lavastoviglie.
Quando torno al piano inferiore, Adele mi aspetta seduta sul divano facendo zapping alla tv. "Vuoi che ti accompagno a casa?". Balza in piedi, venendo verso di me. Mi attira a sé mettendo la mano dietro la mia nuca. Mi bacia ancora, sempre più intensamente. "Sei così bello appena uscito dalla doccia. Pulito, profumato..." mi morde la guancia, lasciando piccoli baci sotto al mento verso le scapole "...io penso che dovremmo tornare di sopra". La afferro per le braccia, sogghignando. "Lo vorrei, ma tuo padre ha già tanti motivi per odiarmi. Ci vedremo stasera". Sbuffa, andando verso la porta.
"Va bene, allora accompagnami. Non ti prometto che stasera ci vedremo" scherza, uscendo per poter raggiungere il garage. Prende il casco, cacciandoselo in testa. Mi metto alla guida intanto che le sue braccia mi stringono forte. Siamo davanti al cancello di casa sua in venti minuti. Tiene il casco per sé, sporgendosi per potermi salutare con un bacio a stampo. "Ci sentiamo".
"Hai detto di essere libera dopo pranzo" fa spallucce, indietreggiando. "Chissà, potrei essere inserita in qualche associazione segreta. Sarei costretta a partire, senza poter salutare nessuno". "Vedi davvero troppi film". Soffoca una risata, facendo un cenno con la mano. Aspetto che superi lo zerbino prima di andare via. È una giornata bellissima e non ho voglia di tornare a casa.
Contatto Frank e, non ricevendo risposta, mi presento sul suo pianerottolo. È ancora in pigiama, capelli arruffati. "Sei serio? È una bellissima giornata e tu sei ancora in vestaglia". "È domenica" sbotta, intanto che lo supero per poter raggiungere la cucina. Mi guardo intorno. "Ok, nessuna nuova conquista. Sei solo. Allora perché sei ancora in casa alle undici del mattino di un giorno festivo?".
Mi guarda storto. "Non ricordavo fossi così petulante. Perché sei così di buonumore?". Faccio spallucce, mostrando un sorriso radioso. "Ho solo voglia di uscire. Sono felice. Volevi che fossi felice, no?". "Sì..." inizia a dire, offrendomi del caffè "...ma non speravo di rientrare in questa felicità" ironizza, porgendomi la tazza. "E questo è dovuto dal ritorno di Adele?".
"Soprattutto dal ritorno di Adele. Ci siamo chiariti, siamo stati insieme. Dio, Frank. La amo. Stavo davvero per lasciarla per la seconda volta? Sarei stato un completo idiota. Ho quasi quaranta anni, devo agire come un adulto responsabile e assennato". "Mi fa piacere sentirti parlare così dopo tre anni di continue lamentele e paranoie".
"Grazie per essermi stato vicino". Sorseggio il caffè, guardando fuori dalla finestra. "Penso seriamente che tu debba vestirti e goderti questa giornata. Avanti, ti aspetto giù. Andiamo a farci una nuotata". Gli punto il dito contro, dicendogli che lo aspetto di sotto. Mi raggiunge dopo mezzora, portandosi la tavola da surf. Quando raggiungiamo la spiaggia, lasciamo effetti personali e scarpe sulla sabbia, correndo verso le onde che si infrangono contro la battigia. Nuoto fino alle boe per poi tornare indietro. Non sopporto il mare, ma oggi sentivo la necessità di farlo. Di vivere.
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𝐔𝐧𝐧𝐚𝐦𝐞𝐝 | 𝐒𝐞𝐛𝐚𝐬𝐭𝐢𝐚𝐧 𝐒𝐭𝐚𝐧
General FictionUn insegnante di teatro, dedica tutto sé stesso al palcoscenico, tentando di far affiorare nei suoi studenti la stessa passione che ha portato lui fin lì. Ha un sogno nel cassetto: debuttare a Broadway. Nel frattempo, instaura un rapporto con ognuno...