26 - L'arte del non capire

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POV ARIEL

“Basta, sono piena come un uovo” Posai l’ultimo triangolo di pizza ai funghi, che non riuscii proprio a mandar giù, per poi stravaccarmi, stendermi sulla sedia e lasciare espandere il più possibile lo stomaco.

Adoravo la pizza della pizzeria in fondo alla strada principale ma, oltre al lievito, sicuramente aggiungevano ingredienti segreti perché non era possibile non riuscire a finirla mai, nemmeno una santa volta.

Cosa che non si poteva certamente dire della ragazza di fronte a me, che si accingeva a chiedermi anche il mio triangolino abbandonato al suo infausto destino verso il bidone dell’umido.

A quanto pare però il bidone dell’umido ha i capelli ricci.

“Jo…” le passai il pezzetto avanzato “ma sei sfonda.”

Johanna aveva ancora le guance piene, stile cricetina.

“Sto mofendo di fame Afiel! Ho famiffima ok?” parlò con la bocca piena mettendo qualche consonante a caso, tanto da far sembrare stesse parlando in alfabeto farfallino come a otto anni.

Sorrisi al pensiero di quanto mi sentissi bene in compagnia di quella ragazza, unica nel suo genere.

“Posso chiederti una cosa?” azzardai a farle quella domanda, ma volevo sapere come mai la mai amica si era decisa a ritornare dopo un anno.

Anche quello era un argomento d’approfondire… ma una cosa per volta. Anche perché entro trenta minuti avevamo il turno insieme al night.

Johanna si sporse verso di me con fare suadente e si arricciò attorno all'indice una ciocca dei miei capelli, sorridendomi alla maledetta.

“Sì, topa. Fammi sognare” mi mandò addirittura una bacetto volante.

“Jo! Ma si può essere più cretini di te?” le risate riecheggiavano nella sala da pranzo.

Fu la riccia a tornare pseudo-seria e a guardarmi con fare interrogativo, incitandomi a farle la tanto attesa domanda.

“Mi chiedevo come mai sei tornata dopo un anno” azzardai.

Johanna, che tempo prima mi aveva definita la sua migliore amica, era diventata così parte integrante della mia vita che sentivo di avere tutto il diritto di fare l’impicciona, per saperne di più.

La mia amica, tuttavia, cambiò espressione e divenne subito triste.

“Hai una sigaretta?” chiese improvvisamente Jo.

“No”

La rossa si alzò prendendo il giacchetto a cavallo della sedia su cui sedeva “allora offrimi una birra”

“Quella ce l’ho” sorrisi dolcemente alla rossa “Vai sul dondolo, ne porto due. Intanto metto su l'acqua per il caffè.”

Lo spumeggiare della lattina appena aperta sembrò fare un rumore assurdo… il silenzio in quella viuzza alle ventitré di sera era anche troppo.

La casa di Joe aveva le luci ancora accese, segno che qualcuno era in sala. Ora le tende erano in tutte le finestre, ma si potevano distinguere le ombre dietro di esse; mi sembrò di distinguere due figure, ma non ci diedi peso, perché dovevo dedicare tutta l’attenzione a Johanna.

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