Capitolo 49 - Piani

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​POV ARIEL

Io e Jack salutiamo il taxista che ci ha appena scaricato davanti all'aeroporto.
Non vedo l'ora di tornarmene a casa dai miei e Sirius. Mi mancano le sue leccatine sulla faccia, mi riempiono il cuore di gioia.

Jack da vero galantuomo qual è, ha voluto a tutti i costi pagare il taxi, nonostante l'abbia minacciato di morte se l'avesse fatto.
Ah, uomini.

Il mio cellulare prende a suonare e mi affretto ad aprire il messaggio.
È di Johanna.

-Sono già sull'aereo, ma il volo ha un ritardo di minimo un'ora e mezza. Fai con calma.-

"Che palle" sbuffo.

"Sì, particolari devo dire ma d'effetto" il tono di Jack è strano, per cui mi giro per capire che diavolo volesse dire.

Ah, ok. Siamo quasi a Natale e non mi ero accorta di essere vicino a un mastro vetraio che dietro sua banchetta prepara palline decorative di vetro.

"Jack, andiamo su!" lo tiro per la manica con l'intento di smuoverlo, ma vedere il vecchietto soffiare in un tubo incandescente e modellare il vetro ancora morbido, a quanto pare, è troppo interessante.

Finalmente mi guarda e mentre gli spiego quello che mi ha scritto Johanna, il suo stomaco fa un brutto rumore e prende a massaggiarselo con una mano con un cipiglio buffo in viso.

"Ho fame, morirò deperito. Non metto qualcosa in bocca da ieri a cena."

•Mica come Ariel•

|SIAMO SOTTO NATALE, contieniti|

Mi viene un'idea e in automatico un problema è risolto. Perché sì, fare i regali a Natale è un grosso problema se non si vuole incappare nel classico pigiama, calzini rossi o trousse.

"Vai a prendere qualcosa da mangiare dentro ai negozietti dell'aeroporto, io faccio una chiamata e ti raggiungo" gli sorrido.

Non appena lo vedo scomparire oltre l'enorme struttura vetrata, mi avvicino al vecchietto delle palle studiandole una a una... poi, la vedo.

"Mi scusi. Mi dia quella, per favore" gliela indico.

"Gliela incarto come regalo, signorina?"

"La ringrazio. Può scriverci sopra?"

"Certo, mi dica pure" mi sorride cordiale e si munisce di un gingillo che impugna come una penna.

Un'ora dopo
Sto per varcare la mobilità dell'aeroplano e, con Jack alle calcagna, mi immetto nel corridoio dell'aereo individuando subito la mia riccia amica, che se la dorme.

Sospiro, proprio come fa anche il mio amico.
Durante il viaggio in taxi, lui mi ha raccontato tutto quello che è successo: di Vicky, dei tentati suicidi, le bugie... l'unica cosa che mi sono sentita di dirgli, oltre che casino assurdo, è stato il consiglio di aspettare un po' di tempo e farle digerire il tutto.

Insomma, sono un bel po' di cose da affrontare in una sera. Nemmeno io avrei reagito nel migliore dei modi, anche se poi il 'tradimento' fine a se stesso non c'è mai stato. Non quello fisico, almeno.

Non ho detto altro perché la mia regola, la numero uno, è sempre la stessa e mai cambierà: se non puoi comprendere una persona, taci e non giudicarla.

Io mi fermo due file più avanti rispetto a Jack, che prosegue e si ritrova in una fila con tre posti, dei quali uno rimasto vuoto.
Dietro di lui, senza nemmeno averlo visto prima, il mio stomaco e i miei sensi mi dicono che è seduto Joe.

La notte di fuoco appena passata frulla senza sosta nella mia testa e non vuole lasciarmi.
Se possibile, ora che so cosa sa fare, ne sono innamorata ancora di più.
Cinismo? Materialismo? No, crudo realismo.
Se non c'è feeling o attrazione fisica... è finita ancora prima d'iniziare.
Tutto muore, si spegne e si diventa come amici.

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