Capitolo 52 - Sfida

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​POV ARIEL

Stupida, stupida, stupida.

Dio, come mi son ridotta per un uomo. Tutte le femministe di questo mondo mi dovrebbero prendere a pesci in faccia.

Io ci speravo davvero, forse ci credevo addirittura, che mi avrebbe cercato. Anche solo un messaggio.
Sono passati tre giorni da quando l'abbiamo fatto al night e non si è fatto più vivo.

L'unica volta che ci siamo incrociati è stato quando sono andata a casa sua per passare un po' di tempo con Erika.
Stavamo disegnando, come la psichiatra ci ha consigliato di farle fare almeno una volta al giorno, quando Joe è entrato in casa.

Morivo dalla voglia di sapere se avesse provato qualcosa oltre all'orgasmo quando l'abbiamo fatto, perché quella notte non gliel'ho chiesto. Non volevo rovinare l'atmosfera...
Ora però ho bisogno di sapere e in questi due giorni credo mi abbia visto spesso guardare la sua finestra da camera mia o fissare il cellulare. Lo sa anche lui.

La porta d'ingresso si apre e un Joe distrutto entra in casa propria.
Ha la sigaretta accesa tra le labbra, si toglie velocemente il giubbotto e io mi alzo andandogli incontro.

"Bentornato Joe! Hai consegnato la tesi al tuo relatore?" ha il viso provato, occhiaie scavate. La lucetta in camera sua stava sempre accesa fino tarda notte.

Sospira stanco e si passa una mano fra i capelli.
"Se non avessi perso tempo a farti da babysitter e scoparti in un bagno, l'avrei già consegnata" risponde in maniera antipatica.

Non ci rimango nemmeno male, ormai ho capito com'è fatto... quando è girato male, stanco e sfinito non c'è nulla che tenga. Potrebbe mandare a quel paese anche San Pietro, senza curarsi di nulla se non di sé.

È maledettamente egoista, egocentrico e scortese per quasi la totalità del tempo.

Joe è quel tipo di persona che se tu gli dici 'Ciao' non si fa problemi a risponderti 'Ciao il cazzo.'

"Perché non mi chiedi quello che vuoi sapere davvero?" mi guarda con sfida, risvegliandomi dall'analisi della sua persona.

Come diavolo fa ogni volta a sapere quello che penso?
"Io non... cioè, non..." sono imbarazzata oltre ogni livello.

"Allora permettimi di farti una domanda."

"Ok..." alzo un sopracciglio quando accosta la sua bocca al mio orecchio.

"Me la concedi una sveltina in camera mia?" sorride malizioso.

Divento di tutti i colori possibili, soprattutto il rosso vergogna.
Se non esistesse nella tavola dei colori dovrebbero davvero inserirlo.

"Ti sembro una bambola gonfiabile?" domando retorica e lui fa per parlare.
"No. Stai zitto. Non rispondere o ti meno" blocco la sua risposta prevedibile sul nascere.

Ridendo, se ne va al piano di sopra.

Da quell'incontro, se così si può chiamare, più niente.
Sarò stupida io, ma non lo capisco.
I dubbi tornano come sempre, a far da padroni.

Proprio per questo, per quello sbaglio di avergli concesso di nuovo il mio corpo, ho accettato l'invito a uscire di Max.

|Non puoi chiamarlo sbaglio solo perché non è finita bene|
La mia coscienza buona ha ragione... non è stato un errore.
Non è che sia accidentalmente planata sul suo pene eretto... non stavo partecipando a quei giochini del luna park dove il suo pisello è il cigno da centrare e io il cerchio.
Ho ceduto sotto il suo tocco, le sue provocazioni perché mi piace troppo essere sua. Tutto lì.
Questo però non lo rende un atto speciale, né eclatante.
Come ha detto lui è una scopata in un cazzo di bagno... anche piuttosto squallido e sopra uno sgabello traballante.

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