Capitolo 3

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Harry

Ho un forte dolore alla testa. La sento quasi scoppiare a causa dei mille pensieri che vorticano ininterrottamente da ieri pomeriggio.

Per gli altri ragazzi della mia età il sabato è il giorno di relax, il giorno in cui si esce per divertirsi con gli amici ... il mio sabato è diventato un inferno: il sogno, il bellissimo sogno, fatto ore e ore fa ancora mi tormenta, mi sta torturando uccidendomi lentamente. È come una dolce ma lunga agonia.

Mi sento vuoto, maledettamente vuoto e stanco, con una voragine al posto del petto e gelatina al posto degli arti. Senza energia, senza forza, lo stomaco in subbuglio e il torace che duole ogni qualvolta le immagini di Daisy e me, abbracciati sul quel maledetto divano intenti a baciarci, appaiono come fulmini - improvvisi e rumorosi - nella mente. È stato, lo ammetto, bellissimo sentire le sue labbra sottili e rosee, morbide, sulle mie più piene e leggermente screpolate, anche solo per finta, assaporando il gusto della sua bocca, un mix di pizza e paradiso, sentendo tutto il sollievo di essere ricambiato e tutto l'amore che scoppiava - e scoppia - dentro quando l'ho stretta a me in un abbraccio bisognoso e carico di desiderio.

Molte volte ho creduto di essere impazzito, di avere seriamente qualche disturbo psicologico che mi ha fatto sviluppare questi sentimenti quasi incontrollabili per la mia sorellina, la mia piccolina. Ho cercato uno specialista, uno di quelli bravi e plurilaureati con anni di esperienza sperando che potesse aiutarmi a dimenticare ciò che provo per Daisy, sono riuscito anche ad arrivare al suo studio - sbagliando mille volte strada poiché l'indirizzo non mi era familiare. Quando alla fine ho trovato il posto giusto mi sono fatto coraggio e ho bussato al citofono del palazzo antico, uno di quelli con portoni quasi monumentali e finestre riccamente decorate. Ricordo ancora l'angoscia che saliva ad ogni passo verso il secondo piano, dove vi era - ed è ancora - lo studio della dottoressa Lynn. Già, anche il nome della donna è impresso ormai nella mia mente. Nel momento in cui mi sono trovato fuori la porta - dunque con solo quel pezzo di legno a dividermi dalla donna - non ho avuto abbastanza forza per continuare le mie intenzioni; le emozioni mi hanno sopraffatto facendomi smettere di respirare, investendomi forte e potente come un treno in corsa; quando ero davanti allo studio della dottoressa, un miliardo di domande sono apparse nella testa, così brutali e numerose da far venire le vertigini. Ero letteralmente in conflitto con me stesso: la parte razionale capiva che avevo bisogno di sfogarmi ed essere aiutato, ma la parte emotiva mi incitava a scappare via senza mai voltarmi indietro. Alla fine ciò che ho fatto è stata correre il più lontano possibile dal quel posto, più confuso di prima. Credo di avere decisamente qualcosa che non va nella mia bella ma complicata testa. Sono davvero disperato. Ho provato a ritornare lì, dalla dottoressa laureatissima e bravissima o quel che è, ma ho sempre rinunciato. Perché? Perché ho dannatamente paura di sentire che c'è un modo per smettere di amarla ed io non so se sono pronto. Tralasciando i sentimenti forti che ho per lei, non vorrei mai cambiare il rapporto speciale che abbiamo solo a causa della mia stupidità. In ogni caso la perderei, ma ... credo che così, tacendo e facendo finta di niente, almeno uno dei due non soffrirà. Sì, è la cosa giusta ... forse.

«E' la milionesima volta che sbuffi esasperato, Evans. Controllati!» commenta il barista con tono finto acido, ma nascondendo tutto il divertimento che sente nel vedermi praticamente accasciato sull'alto bancone in marmo del B&P. Quasi ho dimenticato di essere nel locale, seduto su uno sgabello molto scomodo, tanto ero concentrato sui miei pensieri e perso tra le nuvole. Per fortuna che il ragazzo dai capelli colorati, sfumatura davvero incomprensibile adesso, mi ha riportato sulla Terra, anche se lo ha fatto solo per prendermi in giro.

«Chiudi quella bocca, Clifford!» lo ammonisco alzando il capo dal lucido ripiano fulminandolo con gli occhi.

Lo fisso per un po' con l'aria minacciosa che spesso mi caratterizza, ma più che spaventato o infastidito dalle mie occhiate il ragazzo sembra divertito - ancora - ridacchiando sotto i baffi per le tante espressioni che mi si disegnano sul volto mentre versa con maestria del tonico ad un cliente a pochi passi da me.

Endless || H.S.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora