Capitolo 72

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Harry

Sospiro profondamente e chiudo gli occhi alzando la testa verso il soffitto. Il mal di testa martellante mi ha accompagnato per tutto il viaggio nonostante l'analgesico ingerito qualche minuto prima di partire; i pensieri non voglio lasciarmi in pace. Rivolgo lo sguardo al di fuori del finestrino alla mia sinistra e provo a godermi il bellissimo panorama che si apre ai miei piedi: San Francisco non mi è mai apparsa tanto magnifica. Nonostante mi sia abituato al mio piccolo appartamento a Cambridge che condivido con Josh, studente di Harvard, al lavoro di cameriere e alla vita autonoma all'interno del quartiere, ammetto che la mia città natale mi è mancata molto in questo mese e mezzo. Sorrido ripensando a tutto quello che ho vissuto in questa metropoli.

Guardando l'immensità di San Francisco da questa altezza mi fa sentire immensamente piccolo, esattamente come le dimensioni dei miei problemi in questo momento. Non riesco a godere appieno del sole splendente che illumina tutta la città, delle nuvole bianche sullo sfondo e nemmeno del Golden Gate che si staglia possente in lontananza: il mio ritorno a casa non è casuale, non sono tornato per una visita di piacere. Tutto stava andando per il meglio, ero riuscito a trovare un equilibrio tra i miei impegni e la mia vita personale, conciliando le nuove amicizie ed il rapporto con Daisy. Non era idilliaco; i primi tempi sono stati i più duri da affrontare a causa della nostalgia che aumentava giorno dopo giorno in quella casa che di lei non aveva nulla. Avevo immaginato di vivere insieme e invece era tutto cambiato repentinamente e irreversibilmente. Nonostante ciò ero riuscito a trovare un po' di serenità, almeno finché mio padre non aveva deciso di mettermi nuovamente con le spalle al muro. Dopo il nostro saluto in aeroporto, seppur ancora irritato, avevo provato ad essere gentile e comprensivo con lui e con la mamma, ma quella maledetta telefonata aveva rovinato tutto. Al solo ripensarci una profonda angoscia appare nel petto schiacciandolo e rendendomi difficile respirare.

«Devi mettere un punto a questa storia, Harold.» aveva detto autoritario - sull'orlo della rabbia- dall'altra parte del telefono.

«Non farmelo fare, papà. Ti prego.» gli avevo risposto con tono supplice, chiudendo gli occhi e passandomi una mano tra i capelli.

«Io ho già provato a parlarle, ma lei non ne vuole sapere. Più mi opporrò più tua sorella sarà convinta a trasferirsi.»

«Ha solo trovato un buono stage pagato qui, a Boston.» cercavo di convincerlo, con voce persuadente, che non era come pensava, non c'era nessun secondo fine.

«Credi che sia stupido? So benissimo perché vuole venire lì e lo stage è l'ultimo dei motivi.» affermava autoritario mantenendo la calma - ma da come parlava mi resi conto aveva la mascella tesa. «C'è solo un modo per risolvere la faccenda e tu lo sai. La vostra storia deve finire, Harry, o dovrò agire di conseguenza.»

«Come puoi chiedermi una cosa del genere? Non ti è bastato tenerci lontano?» chiedevo disperato, con gli occhi che iniziavano a pizzicare. «Non voglio farle del male.»

«Le fai del male se resti insieme a lei Harold, davvero non lo capisci?» il tono era diventato più basso, ma la frustrazione restava comunque. «Non voglio che soffriate, siete i miei figli, siete parte di me, ma devi capire che non c'è solo il sentimento a legarvi; c'è molto di più. Lo faccio per il vostro bene, un giorno capirete.»

La conversazione finì in quel modo. Non mi ha dato scelta, non c'è verso di fargli cambiare idea. Ho provato a procrastinare il momento, facendo finta di nulla, però ogni qualvolta sentivo la voce di Daisy o mi arrivava solamente un suo messaggio i sensi di colpa iniziavano a mangiarmi vivo e così ho provato ad essere più distaccato. Da perfetto vigliacco, speravo che la freddezza e la distanza fisica avrebbero fatto desistere mia sorella da ogni suo intento, ma lei è tenace; la mia ragazza non si arrende. E dopo altre telefonate minacciose di mio padre, sono stato costretto a tornare ... per lasciare la ragazza di cui sono innamorato.

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