Capitolo 32

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Harry

Gli occhi fissi sul soffitto bianco, asettico, insignificante -esattamente come mi sento. Il corpo rigido sul materasso morbido, la testa immobile ma piena di pensieri, le braccia aperte ai lati del letto ad occupare tutto lo spazio. Il fiato regolare e silenzioso, il battito del cuore nella norma, le palpebre che si abbassano di tanto in tanto, i sentimenti che, come sempre, fanno a pugni nello sterno per prevalere l'uno sull'altro. Insomma, ogni cosa sembra consueta, eppure ciò che sento è solo un vuoto incolmabile. Magari è dovuto semplicemente al sonno mancato, alle troppe riflessioni che mi hanno impedito di riposare un solo istante, o forse alla tristezza forte che sentivo stringere il cuore ogni qualvolta immagini di Charles e Daisy, insieme, mi attraversavano la mente. Ieri sera è stato devastante ritrovarli così vicini, come se il tempo non li avesse mai separati, come se lei avesse dimenticato tutto ciò che siamo stati.

Respiro profondamente chiudendo gli occhi, ascoltando solo il silenzio della camera ancora in penombra. Non so esattamente quanto tempo abbia trascorso inerme sul letto, crogiolandomi nella malinconia e cullandomi tra i dubbi, ma d'altronde non m'interessa veramente. Dovrei rassegnarmi in qualche modo, ho voluto io allontanarmi da lei definitivamente credendo fosse la cosa migliore per entrambi, ma la consapevolezza di questo non comporta meno sofferenza. Il dolore c'è, ci sarà chi sa per quanto tempo, ed io devo imparare ad andare avanti. Il destino si è soltanto divertito con noi, facendoci innamorare e poi separandoci. È più facile incolpare qualcun'altro, anche un'entità superiore, piuttosto che se stessi.

Sbuffo sonoramente pregando che il grosso macigno al petto scompaia velocemente, purtroppo niente è così semplice. Poggio entrambe le mani sulla faccia, stropicciando piano gli occhi, come se potessi in questo modo ritornare velocemente alla realtà, e, seppure a malincuore, decido di alzarmi per cominciare la giornata. A passi lenti, raggiungo la finestra alla sinistra del mio letto e la spalanco lasciando entrare aria fresca tipicamente primaverile e la luce intensa del sole. Non mi soffermo a guardare il paesaggio, perché non c'è nulla di così entusiasmante nella finestra dei nostri vicini.

Esco dalla camera e, nuovamente, l'unica cosa che riesco a sentire è silenzio. Solamente in lontananza, si percepisce il rombo di un motore e lo scontrarsi di qualcosa di metallico. Oltre me pare non esserci nessuno in casa. Scendo le scale passando una mano tra i capelli ormai lunghi quasi fin sopra le spalle, arrivo nell'atrio notando la porta d'ingresso aperta. Sorpasso la soglia fermandomi subito dopo sul patio esterno, notando mio padre in t-shirt bianca, sporca di nero in più punti, e in jeans e scarponcini concentrato su di una motocicletta, un gioiellino di grossa cilindrata di un modello molto simile alle Harley Davidson. Deve essere la moto usata da papà quando era giovane, eppure non sapevo l'avessimo nel garage di casa, ma in un box non lontano da Fisherman's Wharf poiché era ridotta davvero male per essere messa su strada.

«Buongiorno» spezzo la quiete, provando a sorridere, poggiandomi alla colonna di legno della veranda con una spalla, incrociando le braccia al petto. Il sole è davvero caldo e piacevole sulla faccia oggi; chiudo un occhio cercando di ripararmi dalla luce mentre con l'altro metto a fuoco la figura di mio padre.

«Buon pomeriggio, vorrai dire» ridacchia l'uomo sorridendo, mostrando le fossette ai lati delle guance ricoperte di un rado strato di barba, posando l'attenzione su di me.

«Che ore sono?» domando curioso, portando con le dita una ciocca di capelli ribelli, finitami davanti agli occhi, dietro la testa.

«È ora di pranzo ormai» risponde avanzando verso di me, senza però accennare a salire le poche scale del patio rialzato, in modo da potermi scrutare il meglio che può. «Stavo per venire a svegliarti, in verità.»

«Mamma e Daisy?»

«Sono alla galleria d'arte per finire i preparativi della mostra» spiega incrociando anche lui le braccia al petto, mettendo in mostra le braccia allenate. «Ti ricordi della mostra di sta sera, vero?» mi interroga quasi, con sguardo beffardo e sorriso leggermente altezzoso.

Endless || H.S.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora