PROLOGO

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Il sangue gli cola tra le dita, si raccoglie sulle nocche e cade come una pioggerellina di goccioline rosse, che producono il rumore di vetri infranti. L'intenso colore scarlatto, la densità di quel liquido che fluisce accarezzandogli la pelle, lo ipnotizza. L'odore ferroso gli entra nelle narici e gli obnubila la ragione.
Avvicina una mano alla propria faccia. Ha quasi voglia di portarsi le dita alle labbra e leccarle a una a una, fino a quando non saranno ripulite anche dell'ultima traccia di sangue.
Non vede altro, non sente altro, non vuole altro. Il sangue è la sua condanna e la morte la sua maledizione. E ogni volta, la tensione di cedere a essa è sempre più forte.
Perché non dovrei assumere la forma del mostro che già sono?
Perché lui è un mostro. Lo è diventato e non esiste alcuna strada che possa riportarlo indietro.
La punta delle dita sfiora appena le labbra. Il sangue scotta sulla pelle. Sta per aprire la bocca, quando da un angolo indefinito di quel buio, si alza il pianto sommesso di un bambino.
E allora la sua mano vacilla. Le dita scivolano, lasciando una scia calda e umidiccia lungo il mento. Ora quell'odore ferroso gli fa rivoltare lo stomaco.
I singulti del bambino si fanno più alti, più nervosi. Ha paura, è terrorizzato. Ed è tutto lì, dentro quel pianto isterico.
Un dolore affilato gli martella le tempie, mentre il respiro si fa più accelerato e gli occhi scandagliano il buio alla ricerca della fonte di quel pianto. Un pianto che è sempre lo stesso, che si leva dai suoi incubi più oscuri, dai suoi ricordi più terribili.
Lui sa a chi appartiene quel pianto, all'unica persona in grado di tenerlo ancorato alla realtà. Sa che farebbe qualsiasi cosa per lui. Se fosse necessario brucerebbe il mondo, lo farebbe affogare nel sangue, pur di tenere lui al sicuro.
I suoi piedi girano in tondo e la testa scatta da una parte all'altra, gli occhi rimbalzano su impenetrabili pareti di oscurità.
Dove sei? Dove sei?
Ma il buio non si sfalda, non sbiadisce, non gli concede alcun sollievo e intanto il respiro diventa più pesante, i polmoni bruciano ogni volta che tenta di immettere aria.
Non è il buio a soffocarlo, ma il panico.
Se non lo trova non potrà salvarlo. Se non lo trova arriverà troppo tardi di nuovo e allora tutto l'orrore...
Deglutisce con la gola secca, lo schiocco continuo dei suoi denti si è unito al gocciolio del sangue. La pressione contro le tempie è insistente e dolorosa, alimentata dai singhiozzi che diventano sempre più forti. Li sente, sono così vicini... E così lontani.
Non sono arrivato in tempo. Non arriverò in tempo nemmeno stavolta.
L'odore di sangue diventa più intenso. Le sue mani si stanno sciogliendo in quel sangue. Ai suoi piedi c'è il cadavere. È già per terra, con la pozza di sangue che si allarga sotto la testa.
Le ginocchia impattano dolorosamente sul pavimento, i pantaloni si impregnano e diventano pesanti.
In silenzio, osserva il suo corpo muoversi senza che lui glielo abbia ordinato. Osserva le sue stesse braccia stendersi e le dita incurvarsi come artigli attorno alla gola pallida. Serra la mascella e le sue dita fanno lo stesso, trovando finalmente la soddisfazione dello scricchiolio delle ossa sotto i polpastrelli. L'odio che gli brucia dentro è così forte che sarebbe in grado di ridurre quel corpo in cenere.
Improvvisamente, ai margini del suo campo visivo, una pallida macchia di luce si accende e il pinto finalmente si ferma. Quando solleva gli occhi, il bambino è davanti a lui, l'unico sprazzo di luce in quel buio infinito. Ha i capelli castani scompigliati, i suoi denti battono dietro le labbra tremanti e c'è una sbavatura rossa sulla sua guancia che mette spaventosamente in risalto gli occhi azzurri. Le sue piccole labbra si aprono senza rilasciare alcun suono eppure lui sa quali parole stanno uscendo dalla sua bocca. Quelle parole lo tormentano più del sangue sulle sue mani.
Vorrebbe rassicurarlo e dirgli che non deve avere paura, non più, ma quando guarda in quegli occhi azzurri, tremanti di lacrime, gli si gela il sangue dandogli la sensazione che il suo corpo sia l'origine e la fine dell'inverno.
Vede il proprio riflesso dentro quegli occhi. Un mostro inginocchiato nel sangue, i muscoli delle braccia in tensione, le venture in rilievo per lo sforzo, gli occhi, così simili a quelli che lo stanno fissando, fuori dalle orbite, pieno di follia.
Altro orrore, ecco cosa gli aveva offerto. Non lo aveva salvato, ma aveva generato un nuovo mostro per i suoi incubi.
Mi dispiace, vorrebbe dirgli, ma le parole sono mute e gli occhi ricadono colpevoli sulle proprie mani lorde, ancora strette attorno alla gola sottile... troppo sottile, la pelle non più così pallida e il volto... Un verso strozzato gli squassa il petto.
Il corpo a cui ha strappato la vita con la forza della sua rabbia è cambiato sotto i suoi occhi. Il volto tanto odiato si è trasformato, i tratti si sono arrotondati, diventando più giovani, l'incarnato più roseo, la bocca più piena. Il collo che una volta aveva venerato, baciato e accarezzato, e che adesso sta brutallizzando, è più sottile, più fragile.
Non lei. Ti prego, non lei.
Ma quando l'immagine non cambia, getta la testa all'indietro, gridando al buio sopra di lui fino a farsi sanguinare la gola.
Si rimette in piedi, i movimenti convulsi e scoordinati. Non può più sopportare quella vista, non può più sopportare quell'odore nauseante, quel pianto.
Le lacrime gli rigano il viso e si mescolano al sangue.
Arretra, arrancando nel buio a tentoni, i suoi piedi si intrecciano con quelli del corpo ai suoi piedi. Comincia a cadere all'indietro, sprofondando nel buio, sentendoselo premere addosso. E mentre gente le mani in avanti per aggrapparsi a qualcosa, sente l'eco lontana del suo tormento.
"Portami con te, Michael"

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