Capitolo 71 (Charlie - Presente)

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Il mondo si ridusse a un fischio nero che le perforava l'udito e a un dolore sordo che si estendeva da qualche punto del suo corpo.

Mentre una tempesta di lacrime le batteva su un lato della faccia e unghie appuntite le scorticavano quello opposto, Charlie aprì gli occhi. Aveva una guancia schiacciata contro le pietre e il fianco che aveva battuto a terra le fece digrignare i denti quando provò a muoversi.

La pioggia le cadeva ancora addosso, ma il suo rumore era sovrastato dal fischio che le perforava i timpani.

Dando un calcio al dolore rabbioso alle costole si rimise in piedi.

Maxim era un'ombra accovacciata a pochi centimetri da lei, che balzò sulle proprie gambe appena la vide riprendersi.

«Mi hai sparato davvero, stronzo!» La sua voce era smorta alle sue stesse orecchie.

Quanto è passato vicino il proiettile?

Provò a tirargli un calcio, ma le gambe erano instabili e a Maxim bastò scartare appena di lato per evitarla.

Al contrario di lei, Maxim non sembrava minimamente turbato. Le ossa di Charlie invece tremarono, facendole perdere per il momento la presa sul terreno scivoloso.

«Charlie, vieni via da lì!»

Più forte di ogni altra forza della natura, la voce del suo angelo custode perforò lo stridio assordante che le fischiava nelle orecchie.

«Michael?» Sollevò la testa, il suo sguardo si restrinse ed eliminò ogni cosa che non fosse il corpo di lui, piegato dal respiro affannoso, il suo volto macchiato dalla pioggia e da una chiazza bianca di paura che gli aveva drenato via tutto il colore dai lineamenti, i suoi capelli schiacciati sulla fronte e i suoi occhi sbarrati dal terrore.

Sei qui...

Perché sei qui?

Non riusciva a trovare un senso alla sua presenza lì in quel momento, non riusciva a spiegarsi come avesse fatto a trovarla. Tutto si concentrava sull'unico, spaventoso pensiero, che adesso Maxim aveva davanti il bersaglio che odiava di più.

«Michael, va...»

«Charlie spostati da lì, cazzo!» esplose allora lui, la faccia stravolta e pallida, le labbra esangui.

Con i talloni, Charlie saggiò il terreno, lo avvertì scricchiolare e sgretolarsi sotto la scarpa. Solo allora si arrischiò a guardare, e strabuzzò gli occhi. Una caduta libera di metri e metri era a pochi centimetri di lei. Sotto, onde che si azzuffano rabbiose.

Le ginocchia ebbero un sussulto involontario, si piegarono su loro stesse, ma anziché permettere loro di cedere, Charlie raccolse le forze e si protese in uno slancio.

Un contraccolpo secco e il suo corpo si arcuò prima di tornare indietro. E poi un anello più freddo della pioggia si appoggiò contro la sua tempia. Ferma, congelata, rigida. Il concetto di immobilità non era mai stato tanto reale come in quel momento.

Si era già vista arrivare uno sparo addosso. Se l'era sentito soffiare a pochi centimetri dall'orecchio. La canna di una pistola puntata contro la tempia, però, faceva scavare in nuovi strati del suo stomaco ai vermi gelidi che si agitavano dentro di lei.

«Ma che hai nel cervello? Hai sparato contro tua sorella! Che cazzo di problemi hai?» sbraitò Michael. Le sue gambe scattavano in avanti solo per fare lo stesso movimento all'indietro, gli occhi fissi e tremanti sulla pistola puntata alla sua testa.

Charlie vedeva il conflitto dentro di Michael, la voglia di lanciarsi in avanti verso di lei e la necessità di andarci cauto.

«Gli stessi che hai tu, fratellino. Dopotutto, non hai ucciso la tua stessa madre? Pare proprio che siamo uguali tu e io.»

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