Capitolo 12 (Charlie - Presente)

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Le cuffiette nelle orecchie, la sensazione della gomma delle scarpe da ginnastica sotto i piedi e le gambe e i polmoni che bruciavano a ogni metro macinato. Quella era la sensazione più vicina alla leggerezza che Charlie riuscisse a immaginare.

Correre quando le strade erano ancora deserte la catapultava in quella dimensione ideale dove non doveva fare altro che assecondare uno stimolo fisico.

Non era come lasciare indietro i pensieri, perché nonostante lei si spingesse in avanti con velocità sempre maggiore, non si sentiva rincorsa. In quell'unica ora della giornata completamente tutta sua, tutto ciò che non era il suo corpo, tutto ciò che non era materia, si limitava a non esistere.

La musica andava avanti in riproduzione casuale, l'italiano e l'inglese si confondevano. Avrebbe potuto aprire la bocca e cantare a squarciagola ognuna di quelle parole, ma i suoi polmoni erano troppo avidi di aria. Il freddo umido e appiccicoso della mattina, entrava e infiammava il petto. Charlie allargò le narici e ne assorbì di più.

Quell'abitudine erano nata un po' per caso, un po' per disperazione, in un'autunnale alba romana.

Si era trasferita da appena qualche settimana e per quanto l'avesse bramato, il mondo fuori dai confini di Mistfold le era parso spaventoso e solitario. Per tutto il volo non aveva fatto altro che raccontarsi una bella illusione. La favola di una ragazza che sarebbe rinata completamente nel corpo e nella mente di un'altra persona, una volta atterrata. La verità l'aveva accolta, dandole il benvenuto in quella nuova parte di mondo, e si era resa conto che quello che le faceva male dall'altra parte dell'oceano, bruciava con la stessa intensità e che quando tutte le luci in strada si spegnevano e ti trovavi da sola, davvero da sola, la mente diventava un nemico spaventoso tanto quanto lo era la notte. E proprio durante una di quelle notti era stata sul punto di chiamare sua madre e pregarla di riportarla a casa. Non le era importato di quello che l'avrebbe attesa a Mistfold, non le era importato ritornare a ciò da cui era scappata e nemmeno che sua madre avrebbe rigirato il coltello nella piaga, dandole della buona a nulla. Non le era importato di niente! Perché lei aveva quindici anni, era da sola dall'altra parte del mondo, con il cuore a pezzi, e aveva il diritto di avere paura.

Poi, un rumore secco e regolare era arrivato dalla strada e le lacrime si erano fermate, come se tutti i suoi sensi si fossero concentrati su quell'unico suono, provando ad associarlo a qualcosa di conosciuto. Si era tolta le coperte dalla testa ed era corsa alla finestra, e aveva visto una donna con un'assurda tuta fucsia correre lungo la strada.

Non era stata una vera e propria decisione, si era infilata le scarpe ed era uscita così, in leggings e t-shirt grigia. Prima di chiudere la porta aveva afferrato cellulare e cuffie.

Aveva cominciato a vivere per quel momento della giornata, per quei minuti sospesi nell'alba. Li aspettava, ci si tuffava dentro e si lasciava sommergere e avvolgere da quel meraviglioso silenzio, fatto di musica e nulla più. La sera aveva cominciato a sentirsi fin troppo stanca per rimanere sveglia, il sonno aveva cominciato a reclamarla prima di ogni altra emozione.

Correre a quell'ora del mattino era così liberatorio, anche se Mistfold non era Roma, anche se la salsedine non aveva lo stesso odore della rugiada che piangeva dalle foglie degli alberi e l'orizzonte nebuloso e inconsistente sulla linea del mare non era paragonabile alla città eterna stesa sotto di lei, che la guardava dalla terrazza del Pincio.

Di correre le piaceva il fatto di non dover prendere decisioni, e di potersi affidare unicamente alla memoria muscolare. Un tratto di strada, una svolta, una salita, una discesa... il suo corpo sapeva dove condurla senza dover interpellare la sua mente.

Avrebbe dovuto sapere che Mistfold ne avrebbe approfittato per tenderle una trappola.

Villa Bane si stagliò davanti a lei quasi senza preavviso, ergendosi sui suoi quattro piani, silenziosi e immobili a quell'ora del mattino. Dalle bianche sbarre del cancello, anche il grande giardino che circondava la casa era quasi avvolto nel totale silenzio, smosso appena dal canto timido di qualche uccellino. L'intera Villa sembrava vittima di un incantesimo del sonno. Charlie non l'aveva mai vista così immobile e silenziosa, nemmeno quando ci aveva passato dentro la notte.

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