Capitolo 46 (Charlie - Presente)

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Meno di ventiquattro ore. 

Doveva tenere duro per meno di ventiquattro ore. 

Meno di ventiquattro ore e Mistfold non sarebbe stata altro che un ricordo che sbiadiva in lontananza contro l'orizzonte. 

Meno di ventiquattro ore e avrebbe lasciato a marcire sotto le rocce di quello scoglio gettato in mezzo al mare, la carcassa di sé stessa e sarebbe stata una persona nuova, una persona proiettata nel futuro. 

Questo rappresentava il biglietto che fissava sullo schermo del cellulare e che indicava il numero del suo posto sulla nave, che alle otto in punto del giorno dopo l'avrebbe portata a New York. Attesa e possibilità. 

Quando gli occhi si era asciugati abbastanza, dopo un'ora passata nel bagno di Gabriella ed Elijah a piangere e a tentare di soffocare i singhiozzi nelle lacrime, aveva prenotato quel viaggio senza pensarci. Subito dopo era andata sul sito della compagnia aerea e aveva cercato voli per l'Italia, ma non ne aveva trovati. 

Poco male, si era detta, avrebbe atteso un paio di giorni a New York. Lasciare Mistfold, però, era una cosa che non poteva rimandare. 

Era uscita da quel bagno con gli occhi rossi ma asciutti, il petto pesante, ma non più squassato dai singhiozzi. Era troppo abituata a tutto quello per non sapere che non avrebbe cancellato sentimenti e dolore con un pianto, ma li aveva chiusi ermeticamente da qualche parte e non aveva intenzione di andare a bussare a quella porta, non quella sera, non dopo che un semplice "no" l'aveva prosciugata. Il nulla che quella sillaba si era lasciata dietro era freddo e profondo, ma non sentire niente era meglio che sentire troppo. 

Andava bene così. 

Con la voce ridotta a un mormorio monocorde, quella sera a cena aveva ringraziato Gabriella ed Elijah, si era sforzata di mangiare quello che aveva nel piatto e aveva comunicato loro che il giorno dopo sarebbe partita. 

«Per sempre.» aveva detto, spostando con poca convinzione il contorno di carote bollite. 

I due coniugi di erano lanciati una silenziosa e preoccupata occhiata da sopra il tavolo, palesemente non convinti di quella decisione, ma non avevano fatto nulla per tentare di dissuaderla. Come avrebbero potuto, d'altronde, dopo quello a cui avevano assistito quella mattina? 

Dopo cena, aveva aiutato Gabriella a sparecchiare, aveva cautamente assecondato i suoi tentativi di conversazione, ma la verità era che non sentiva la maggior parte delle cose che la donna le diceva e il suo contributo alla chiacchierata si era limitato a semplici gesti con la testa e a monosillabi. 

Stava rimettendo a posto i piatti quando il campanello turbò la quiete della casa e per poco uno non le scivolò di mano. La sua testa scattò verso la porta, un misto di ansia e aspettativa a darsi battaglia nel suo cuore, che perse un battito quando la figura alta e austera avanzò nella piccola cucina. Il cuore si liquefece, si riversò nello stomaco e prese la consistenza di lava bollente. «Buonasera Charlie.» 

Raphael Bane faceva sembrare tutto piccolo. I pantaloni scuri e la sottile maglia a maniche lunghe bianca lo rendevano elegante, nonostante la loro semplicità. Dal suo viso impassibile, scolpito nel più rigido dei ghiacciai, non trapelava mai alcuna emozione. I suoi occhi erano un gelido inverno, che induceva chiunque a distogliere lo sguardo dopo pochi secondi. Era identico a suo fratello e in un certo senso, totalmente diverso. Là dove Michael bruciava come fuoco, Raphael si ergeva come una parete di ghiaccio. 

Charlie strinse ciò che rimaneva del suo cuore da sopra la maglia e si odiò per essersi aspettata che fosse Michael. Odiò la sua incrollabile speranza che ancora non voleva saperne di arrendersi all'evidenza. 

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