Capitolo 62 (Michael - Presente)

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«Vedi di sbrigarti Michael. Sono parecchio... preso, al momento.» Samael, che aveva risposto solo al suo terzo tentativo di chiamata, sembrava stesse trattenendo un sorriso.

In altre circostanze Michael avrebbe avuto la lucidità adeguata per domandarsi da dove provenisse lo stato di pace che avvertiva dalla voce di del fratello, in quel momento però non glien'era rimasta nemmeno un briciolo, perciò quasi non lo lasciò terminare prima di sovrapporre la propria voce, secca come uno sparo. «Sei alla Villa?»

Dall'altro capo della linea giunse un sospiro troncato a metà. Il più giovane deglutì e si schiarì la voce prima di rispondere, totalmente indifferente allo stato di agitazione del fratello. «No.» Disse soltanto, con la voce tesa.

Michael strinse più forte il telefono, le falangi che avevano cominciato a tremare in maniera involontaria. «Tornaci immediatamente. Non fermarti a parlare con nessuno. Devi andare dritto alla villa. Mi sono spiegato, Samael?»

La pausa che seguì fu molto più lunga. Se Michael non avesse avvertito il ritmo dei suoi respiri spezzati, avrebbe detto che gli aveva riattaccato il telefono in faccia.

«Senti Michael, se sei su di giri per domani, tornaci tu alla Villa. Fatti una bella scopata rilassante con Charlie e non rompere le palle a me.»

Le dita strette attorno al volante sbiancarono. «Non ci sarà nessuna sfida domani e il nome di quella puttana non dovrà più essere pronunciato in mia presenza!»

Gli arrivò un verso più strozzato degli altri, un suono di pura incredulità. «Ma che cazzo ti passa per la testa, Michael!» Samael gli sbraitò la sua rabbia nelle orecchie. «Ti sei fatto, per caso? Non azzardarti mai più a parlare di lei...»

«Prima che tu ti erga a paladino della sua virtù, sappi che la tua cara Charlotte ci ha venduti al bastardo di nostro padre, che adesso ci tiene tutti per le palle! Maxim vuole che io mi ritiri dalla gara durante il ricevimento di domani sera e se mi rifiuto, rivelerà a tutti quello che è successo.»

Nell'ultima ora il suo mondo sembrava mettersi continuamente in pausa. Ogni volta Michael era certo che quel cazzo di cielo gli sarebbe crollato addosso e durante quell'ultimo, interminabile silenzio, temette di sentirselo addirittura scricchiolare sopra la testa.

Era il rumore del suo cuore, accelerato e rabbioso, che si sgretolava. Perché Samael non poteva semplicemente starlo a sentire? Perché non poteva tornare alla villa e basta, dove avrebbe avuto la certezza di saperlo al sicuro.

Non che lui ci stesse tornando alla villa. Non aveva nemmeno stabilito una meta, ma a mano a mano che la sua auto macinava chilometri, il paesaggio si faceva via via più familiare e doloroso.

Qualcosa che eludeva completamente dalla sua volontà, lo stava spingendo verso quella direzione.

«Sei un cazzo di idiota!» La rabbia di Samael gli perforò i timpani, come una freccia scagliata dalle sue labbra. «Sei davvero un cazzo di idiota se pensi che Charlie abbia fatto una cosa del genere. Si sente la puzza della merda di Maxim da un miglio di distanza e se in questo momento ti fermassi un attimo a riflettere lucidamente, se la smettessi per un solo momento di colpevolizzarti e di considerarti il mostro che non merita altro che il destino lo punisca, lo capiresti anche tu.»

Ci fu una nuova pausa, più breve, in cui Michael sentì suo fratello incamerare aria.

«Ferma la macchina.»

La sua auto non faceva un solo rumore, scivolava sull'asfalto come fosse un fantasma, non c'era possibilità che Samael avesse sentito il suono del motore, ma aveva intuito comunque che stava guidando.

Raphael si illudeva se pensava di essere l'unico dei quattro a saper leggere le persone.

O forse il ragazzino sa leggere bene te

«Non sono in auto.» mentì spudoratamente.

«Sei un bugiardo del cazzo, Michael! E va bene, continua a guidare, ma torna alla Villa. Farò come vuoi, tornerò dritto alla Villa, ma solo se lo farai anche tu. Parleremo con calma e risolveremo questa cosa come abbiamo sempre risolto tutto: insieme.»

Se fosse stato un altro momento, Michael avrebbe sorriso.

Da quando il piccolo scapestrato di famiglia era diventato tanto saggio? In effetti la sua bocca si piegò in una smorfia, ma era qualcosa di amaro e tetro.

La verità era che non avevano mai risolto niente. Avevano accumulato tragedie su tragedie e la responsabilità era la sua, perché era lui il maggiore, quello che avrebbe dovuto tenere al sicuro tutti quanti loro, Samael soprattutto, e non aveva accumulato altro che fallimenti.

«Fa' come ti ho detto, Samael. Torna alla Villa.»

Riagganciò e spense il telefono per non dover ascoltare altro.

Non c'era niente da aggiustare, niente da risolvere. Era tutto perduto, ormai.

E se ne fotteva di se stesso, se ne fotteva di quello che sarebbe successo a lui.

Che era un assassino lo sapeva da dieci anni, che lo riconoscessero pure tutti quanti gli altri, non avrebbe avuto problemi ad affermare che avrebbe ucciso quella puttana di sua madre altre mille volte, per quello che aveva fatto.

Quello che lo preoccupava era che suo fratello era stato esposto.

Quello che lo devastava era che il suo amore era andato perduto, annegato nel tradimento.

Quello che lo faceva sentire come se si fosse infranto in mille pezzi era che, nonostante tutto, lui l'amava. L'amava e il pensiero che non l'avrebbe più avuta era devastante tanto quanto la consapevolezza del suo tradimento.

Forse fu per mandare quell'amore in mille pezzi, com'era finito lui, che salì i gradini di pietra che portavano alla casa sulla scogliera.

Entrò e si guardò intorno. Guardò e assorbì ogni posto che parlava di loro due, ogni angolo che raccontava la loro storia e poi, come un uragano, passò sopra cose e ricordi, distruggendoli, provando in quel modo a distruggere lei... loro.

Quanto meno dall'esterno visto che dentro di lui, la casa che lei aveva edificato, era di solida, indistruttibile pietra.

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