Capitolo 15 (Charlie - Passato)

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Prima di allora Charlie non avrebbe mai pensato che respirare potesse somigliare a una lacerazione al petto. E invece l'aria si faceva largo ad artigliate in mezzo al suo torace, facendola piegare su se stessa per una frazione di secondo, bloccando i movimenti, interrompendo il ritmo forsennato che il suo esigente maestro imponeva.

«È stato pietoso proprio come mi aspettavo.» Michael parlò con voce chiara e regolare. Nei suoi respiri non c'era traccia di affanno, solo un leggero sbuffo di derisione, al quale Charlie mostrò i denti, con stizza.

Michael gettò la testa all'indietro e rise senza ritegno, una mano appoggiata sullo stomaco. E Charlie vide la sua occasione.

In quel mese le aveva insegnato a calcolare la distanza con una rapida occhiata, e anche se il sudore della fronte le finiva negli occhi in rivoli costanti, riuscì a valutare un paio di balzi di distanza. Arrivò a farne mezzo prima che il fiato la lacerasse ancora, e che incespicasse nei suoi stessi piedi. Per fortuna, c'era chi aveva riflessi migliori dei suoi. Prima che la sua faccia sbattesse malamente contro il polveroso pavimento, un paio di braccia le si avvolsero intorno, facendo ritornare il mondo in asse. Quando però sollevò la testa scontrandosi con due profondità azzurre, finì di nuovo in bilico.

Ogni cosa in Michael emanava un calore turbolento. Le braccia strette intorno al busto, le mani aperte sulla schiena sudata e le punte delle dita che sfioravano appena la pelle che il top non riusciva a coprire, il fiato che le accarezzava il naso, facendosi sentire sulla sua bocca. La sua presenza appiccava il fuoco laddove si posava. Sotto i suoi occhi, una ruga formò una curva accanto alla sua bocca. «Una delle basi in un combattimento è rimanere in piedi, Blade.»

Charlie smise di combattere contro l'aria. Smise del tutto di respirare e non perché le facesse male, ma perché quel diabolico sorriso si contorceva e diventava più impudente a mano a mano che la pelle del suo collo diventava più bollente.

Respirare, era essere consapevole del punto d'incontro dei loro petti, era avvertire il prepotente rombo del proprio cuore e temere che lo avvertisse anche lui attraverso la pelle. E quanto sarebbe stato mortificante se l'avesse notato, se avesse intuito che quella frenesia nel petto non era dovuta alle ore di allenamento. Per questo insinuò le braccia tra loro, facendo una leggera pressione. «Sono esausta. Mi hai sfinita.» La voce era stentata e affannata.

Il sorriso smaliziato si piegò in un angolo più netto. «No, non ancora, Blade.» Allentò le braccia, le fece scivolare via da lei così lentamente che i polpastrelli sfiorarono i fianchi, così leggeri da poter essere un gesto del tutto casuale, anche se per lei tanto valeva che avesse impresso le dita direttamente sulle ossa. Non si mosse però, non fece un solo tentativo per spostarsi, rimanendo lì, a lasciarsi toccare per quell'infinitesimale, vitale, frazione di corpi. Charlie assorbì il sale del suo odore, appena contaminato dall'odore muschiato del sudore. Un miscuglio di note e sentori che le fecero contrarre i muscoli del basso ventre, muscoli di cui, nell'ultimo mese, aveva scoperto l'ingombrante, esigente esistenza.

Deglutì e fece un passo indietro, poi un altro. Le labbra di Michael si incresparono appena, creando una serie di fossette screpolate sopra e sotto, ma proprio quando Charlie pensava che lui fosse sul punto di mettersi a ridere, il suo cellulare trillò, rimbombando contro le pareti di pietra del tunnel. Era la quinta volta in dieci minuti e come le altre volte lui lo ignorò dopo aver lanciato un'occhiata fugace all'oggetto abbandonato poco distante, sopra la borsa da allenamento. Tornò a focalizzarsi su di lei, e Charlie si riscosse, fingendo di non aver dirottato a propria volta l'attenzione sul fastidioso squillo alle sue spalle. In ogni caso, Michael non diede alcun segno di essersene accorto. Incrociò le braccia sul petto, le gambe divaricate e con un breve cenno del mento le chiese: «Dimmi dove hai sbagliato.»

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