Capitolo 21 (Michael - Presente)

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Annientato.

Michael si sentiva annientato e la colpa era tutta di quelle pietre di puro smeraldo fisse dentro di lui. Ciò che vi lesse abbatté la sua anima al suolo.

Fiducia. C'era soltanto fiducia su quel ponte che si era creato fra loro. Calore nelle sue mani e fiducia dentro i suoi occhi.

La tentazione di allungare la mano e accogliere tutto quello che lei gli stava offrendo così, senza riserve, forse senza nemmeno rendersene conto, fu soverchiante, quasi impossibile da ricacciare indietro. Gli venne voglia di dimostrarle di essere meritevole di quella fiducia e poi desiderò poterla cancellare con un colpo di spugna o artigliarla con tanta violenza da non lasciare altro che brandelli tanto piccoli, che non avrebbe più saputo rimetterli insieme in un sentimento.

Nascondersi dietro una bugia era inutile. L'unico motivo per cui non desiderava vedere quell'emozione traboccare dagli occhi di Charlie era perché lui non era in gradi di sopportarla. Dopo aver fallito così tanto, dopo averle fatto così male, non poteva sopportare di vedersi ancora riflesso dentro di lei, ammantato di una luce che non gli apparteneva, che lei non avrebbe più dovuto donargli.

Il pugno, ancora chiuso dentro le sue piccole mani, non aveva potuto fare altro che rilassarsi e quel pacifico formicolio non aveva tardato a diffondersi nel resto del suo corpo, spegnendo il grosso della rabbia.

Non poteva permettersi di reagire a lei in quel modo, non poteva permettersi di sentirla ancora vicina, come non poteva permettere a lei di avvicinarsi.

Stava sbagliando tutto. Con Charlie non riusciva a fare altro.

Non sapeva quando Frank se ne fosse andato precisamente, ma quando parlò, erano rimasti da soli. La sua bocca si tirò su un angolo. «Che cosa ti è saltato in mente?» La sua voce fu così graffiante, da indurla a lasciare la presa sul suo pugno. «Non hai ancora imparato che non devi metterti in mezzo a due persone che stanno per fare a botte?»

Lei si accigliò, e per lui fu naturale trattenere il fiato. «Ancora? Che intendi?» La confusione fece alzare appena la tonalità della sua voce.

Le gelide mani della delusione gli sgonfiarono il petto. Perché continuava a sperare che lei ricordasse? A quel punto, avrebbe dovuto ringraziare che la sua memoria avesse rimosso l'accaduto.

Si allontanò da lei e le girò attorno con l'aria di un animale in gabbia. «Non puoi metterti tra due persone che stanno per picchiarsi. Ti sarebbe potuto arrivare un pugno in faccia!»

«Sapevo che non mi avresti mai fatto del male.»

Silenzio.

Ed eccolo lì di nuovo, quel gelido tepore che, spietato, lo schiacciava a terra come se non vedesse l'ora di vederlo morto. Come se non fosse già morto da una vita!

La sua testa frustò l'aria e le lame dentro il suo sguardo non dovettero essere più clementi, perché Charlie giunse le mani sulle cosce, improvvisamente ripiegata su se stessa. «Non così. So che non mi faresti mai del male così.»

Il senso di colpa aveva ingaggiato una dura battaglia contro l'odio che sentiva per se stesso.

Se avesse annullato la distanza tra loro, messo due dita sotto il suo mento e l'avesse obbligata a sollevare lo sguardo dal pavimento, che cosa sarebbe accaduto? Avrebbe visto le lacrime agitarsi nei suoi occhi. Lo sapeva, come sapeva che non avrebbe retto a quella vista e si sarebbe abbassato sulle sue labbra prima che una qualsiasi di quelle gocce salate le toccasse.

Sapeva quello, proprio come sapeva che era stato lui a volere quelle lacrime, era stato lui la causa per cui le aveva versate, per cui, probabilmente, le avrebbe versate ancora.

La sera prima ne aveva sentito l'odore contro le sue guance e aveva raccolto con i suoi baci quelle che erano cadute e alcune delle proprie si erano persino mischiate alle sue. Dubitava che Charlie se ne fosse accorta.

Lei era lì, tutto quello che doveva fare era marciare su quella distanza. Era così facile ed era ancora impossibile.

Serrò gli occhi così tanto che le palpebre cominciarono a bruciargli. Lui doveva tenere a mente quanto fosse impossibile.

No, non avrebbe mai voluto farle del male in quel modo, ma se non fosse stato in grado di impedirlo? Se un giorno fosse accaduto? Se... se... se... se i suoi incubi si fossero trascinati nel mondo reale?

Doveva recidere la fiducia di lei, doveva recidere quel desiderio di assecondarla e doveva recidere quel sottile, tenace filo di speranza che gli faceva credere che un giorno avrebbe potuto riaverla, che le cose tra loro sarebbero potute tornare come prima. Prima che il mondo finisse.

Perché sei tornata?

La sua mente era in ginocchio davanti a lei.

Non hai pietà di me?

«Non così.» Soppesò piano quelle parole tra sé. «Non così.» Si sentì finalmente lo sguardo di lei addosso, il suo si era perso per un momento nel vuoto. Aprì gli occhi su di lei, di botto, e la uccise. Lo vide da come le sussultarono le labbra, da come le si contrasse il petto.

Il suo sguardo, affilato e severo, avrebbe tagliato l'aria, avrebbe tagliato le pareti, se solo ci avesse provato, ma la vittima designata era lei, l'unica a dover essere trafitta, mentre una mano invisibile rigirava un pugnale gelido anche nella sua schiena.

Non ti faccio soffrire da sola

Ma non glielo disse mai. «Il fatto che io non ti picchierei ti fa credere di avere una sorta di potere su di me?» Rise col suo verso più sprezzante. La sua voce era un veleno che non riusciva a ingoiare nemmeno da solo. Ma d'altronde, lui non doveva ingoiarlo, doveva gettarlo tutto fuori. «Non ho bisogno di metterti le mani addosso per ferirti, Charlie. Ho scoperto da tempo che mi basta aprire la bocca.» Mentre lui sorrise malevolo, lei si schiaccio le mani contro il petto. Ma Michael non aveva ancora finito. Non poteva finire. Aveva imparato come annientarla con il veleno che gli circolava nelle vene, come prendere la rabbia e l'odio verso se stesso e riversarli su di lei come un fiume in piena.

Alla fine, i suoi piedi coprirono la distanza che li separava. Stese una mano. Charlie tentò di sottrarsi al suo tocco, ma le sue dita le sfiorarono la guancia e lì rimasero. «Io credo che ti piaccia soffrire per mano mia, Charlie.» La vide chiudere gli occhi e reprimere un singulto. Scosse la testa. Michael obbligò le sue labbra ad aprirsi ancora, la sua voce a colare come il miele. «Credo che tu ami il dolore che ti infliggo. È per questo che mi permetti di farlo, ancora... ancora e ancora.» Il pollice strofinò sotto il suo zigomo. Charlie gli mostrò i denti. «Ma io non ho tempo per le tue stronzate da ragazzina innamorata. Ho un evento importante a cui partecipare, stasera e donne, donne vere, che mi aspettano.»

Pieni di lacrime. I suoi occhi verdi si aprirono e Michael trovò il tormento ad attenderlo. Quelle lacrime se le sentiva tutte in gola. Le ingoiò a una a una. «Però potresti venire alla Bonne Soirée, e assistere, Charlie. Almeno potrai vedere che cosa significa scopare davvero.»

Uno schiocco bruciante si abbatté sulla sua faccia. La forma della mano di lei si stava delineando sulla sua guancia. Faceva male. Gli venne voglia di sorridere.

Brava Blade!

Il respiro di lei era affaticato e gli occhi ancora rossi per le lacrime trattenute a tutti i costi. «Ma come ho fatto a pensare di amarti?» Le labbra tirate, squassate a ogni parola. «Come ho fatto a non vedere il mostro che sei?»

Volò via dal suo ufficio come una raffica di vento, lasciando una scia delle sue lacrime salate.

Michael si accarezzò la guancia colpita. L'impronta delle dita di Charlie bruciava sotto le punte delle sue. Alla fine sorrise davvero, ma il suo era il sorriso di un uomo sconfitto.

Non so come hai fatto a non vederlo, Charlie

«Io lo vedo tutti i giorni.» 

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