Capitolo 42 (Michael - Presente)

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Le urla erano ancora nelle sue orecchie e il sangue ancora sulle sue dita.

Michael scattò a sedere sul materasso come un circuito elettrico a cui improvvisa era arrivata troppa carica.

Cercò di prendere fiato, ma ogni respiro raschiava a sangue le pareti delle gola.

Il sole dell'alba, la debole luce che filtrava attraverso la finestra del balcone gli entrava direttamente nel naso, da quello spiraglio aperto della bocca e bruciava.

Michael respirò un rantolo rumoroso, il fischio nelle orecchie si attenuò. Riconobbe l'eco del grido del su sogno nell'incessante battere del motore del corpo. Contro il palmo, appena al di sotto della pelle, quella trivella incessante non gli dava tregua.

Si passò quella stessa mano sulla fronte scivolosa di sudore. Brividi di freddo gli nascevano da dentro e un pressante calore spingeva contro i contorni del corpo.

Doveva calmare il respiro. Aveva bisogno di rallentare i battiti del cuore.

Un soffio d'aria entro dal naso e uscì dalle labbra, ripeté il gesto, e poi ancora e ancora, finché non fu certo che il petto non gli sarebbe esploso.

Il materasso frusciò e mi mosse, un respiro attutito e assonnato riempì la stanza vuota.

Michael si girò verso l'origine del suono.

Charlie era stesa sulla pancia, completamente nuda, le lenzuola, che doveva aver calciato via durante la notte, erano aggrovigliate attorno ai suoi piedi come se si rifiutassero di lasciarla andare.

Il cuore fremette contro le costole. Gli fece male. Michael allungò una mano per toccarla, osservò le dita stese sulla sua schiena nuda e fermò il movimento a mezz'aria.

Paralizzato.

Il sogno.

Quel maledetto sogno era tornato a tormentarlo e non bastava la vista di lei, stesa lì accanto, pacificamente addormentata nel suo letto, a calmarlo, né i ricordi della sera e della notte precedente, quando l'oblio della passione li aveva avvinti, e loro si erano persi l'uno nell'altro.

Non bastavano le immagini del night, né quelle in cui l'aveva fatta di sua in macchina, sulle scale, e poi di nuovo in quel letto, dov'era affondato in lei con tanta foga fin quando entrambi non erano crollati esausti e Charlie non aveva avuto più nemmeno la voce per gridare e Michael non era riuscito più a muoversi. Il bruciante calore di quei momenti era sepolto sotto uno strato spesso di gelo e terrore che non riusciva a sciogliere, che non riusciva a rompere.

Oddio, la desiderava. La desiderava più di quanto fosse ragionevole desiderare qualcuno. Desiderava il suo corpo, la sua anima. Desiderava svegliarsi ogni mattina e vedere lei come prima cosa del mondo. Desiderava fare l'amore con lei con la certezza che l'avrebbe fatto ancora il giorno dopo e quello dopo e quello dopo ancora. Desiderava poterle dire che facevano l'amore. La desiderava... per sempre.

E se avesse fatto in modo che avessero quel per sempre?

Era un pensiero assurdo, bellissimo.

Pericoloso.

Michael sapeva che se le avesse dato un motivo per restare, lei l'avrebbe fatto. E allora perché no? La mano si posò alla base della sua schiena, sfiorandola appena con le punte.

Il sole si levò un po' più alto nel cielo, giocò con le luci e le ombre della stanza. Nello spazio infinitesimale di un battito di ciglia, la pelle candida parve ricoperta di sangue. Il braccio di Michael si ritirò così bruscamente che il gomito mandò a infrangersi sul pavimento la lampada appoggiata sul comodino. Lui non sobbalzò nemmeno, Charlie sollevò la testa dal cuscino. I capelli arruffati le si erano incollati alla guancia e le ciglia pesanti facevano fatica a sollevarsi, nonostante tutto, sulle sue labbra si stese un sorriso pigro e scarmigliato che gli avrebbe fatto balzare via il cuore dal petto, se solo quello non avesse già fatto la fine della lampada.

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