Capitolo 2 (Michael - Presente)

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L'unica cosa su cui Xander Bane e i suoi figli erano d'accordo era la volontà di stare il più lontano possibile gli uni dagli altri. Dire che Xander non aveva uno spiccato senso paterno, sarebbe stata un'eccessiva semplificazione dei sentimenti che lo animavano verso la sua numerosa prole.

I fratelli Bane erano cresciuti con un'unica certezza: loro quattro insieme erano l'unica famiglia di cui avessero bisogno. Avevano instaurato con il padre un tacito patto della concordia, in cui si impegnavano a non starsi troppo tra i piedi, perciò Xander faceva in modo di trovarsi alla Villa il meno possibile. E che fosse impegnato in affari più o meno loschi o che si trastullasse con una delle sue amanti, a Michael non importava fin quando questo l'avesse tenuto lontano.

Perciò, il fatto che fosse stato proprio lui a chiedere quell'incontro era insolito.

Chiedere...

Quella parola risuonò nella sua testa seguita da una risata amara.

Xander Bane non faceva richieste. Lui pretendeva e non esisteva legge all'infuori della sua parola.

La porta si aprì proprio mentre Michael attraversava l'ingresso e un gelido spiffero di vento lo accarezzò, facendogli accapponare la pelle.

L'estate non era mai davvero estate sull'isola di Mistfold. Dal mare, tempestoso per la maggior parte dell'anno, s'innalzava costantemente una corrente gelida. Era come se il cuore stesso dell'isola fosse fatto di ghiaccio e il suo respiro freddo volasse sopra le scogliere e lungo le coste. Ogni sera, puntuale, prima del tramonto del sole, una densa nebbia calava su Misfold, racchiudendola in un bozzo, nascondendola al resto del mondo.

C'erano sere in cui, seduto sul bordo del precipizio, dalla vecchia casa sulla scogliera, Michael osservava il primo strato di nebbia appannare l'orizzonte, proprio dove si trovava Il Teschio, l'isolotto di nuda e aspra pietra di fronte a Mistfold.

«Sei uscito molto presto stamattina.» Michael fece un cenno di saluto a Samael.

Il minore aveva le mani affondate nelle tasche del leggero giubbino di pelle. Ciocche di capelli umidi, di una tonalità più scura del naturale, gli si erano incollate alla fronte. Naso e zigomi erano rossi, abrasi dal vento freddo, in contrasto con il pallore che gli solcava sul resto del viso. Quel netto contrasto di colori metteva spaventosamente in risalto l'azzurro intenso e brillante dei suoi occhi.

Samael scrollò le spalle. «Sono andato a fare le mie preghiere mattutine.» Arricciò la punta del naso e scoprì i denti in un ghigno contorto.

Michael inclinò la testa e non provò nemmeno a nascondere l'intento di studiarlo. Si domandò se Samael sapesse. Se sapesse che più di una volta lo aveva osservato compiere quel rituale, quel gesto di sdegnoso disprezzo dentro il quale probabilmente trovava una sorta di piccola rivincita. Quante volte Michael aveva avuto la tentazione di fare lo stesso? Di sputare in faccia al passato nel modo più sprezzante e offensivo?

Il suo sguardo lo avvolse completamente, risalendo dalla punta degli anfibi neri fino al viso pallido e affilato. Come in uno specchio, la testa di Samael si piegò dispettosamente di lato, un sorriso provocatorio su quel volto così simile al suo.

Michael si accigliò. Non tanto per l'insolenza, a quella era abituato e lo divertiva anche. A fargli contrarre la fronte era stato proprio il colore degli occhi, rossi, iniettati di sangue attorno a quelle iridi incredibilmente azzurre.

«Ti piace quello che vedi?» L'arroganza della voce che si accordava a quella luce dentro il suo sguardo.

Michael gli rivolse il riflesso del suo stesso sorriso affettato. «Se ti riferisci al rosso provocato da tutte le canne che ti sei fumato, allora no.»

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