Capitolo 38 (Charlie - Presente)

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La luce del sole era un solletico formicolante sulla pelle. Si gettava entusiasta e ancora pallida attraverso i vetri della finestra e si appoggiava su spalle e braccia, schiena e gambe, inondando di luce e calore i corpi e le lenzuola spiegazzate dalla notte.

Charlie si stiracchiò con un gran sospiro, allargò le braccia stendendole verso l'altro, abbracciando la luce che l'aveva risvegliata. Se il balcone fosse stato aperto avrebbe sentito lo schiantarsi delle onde sulle onde. Mezza confusa dal sonno, affondò metà della faccia sul cuscino caldo e adocchiò i vetri brillanti d'oro. La sera prima erano aperto. Michael doveva averlo chiuso durante la notte. La temperatura doveva essersi abbassata, ma lei non si era accorta di niente.

Si sfregò il polso contro gli occhi, tremando al leggero fastidio. Alla luce del sole, il livido attorno al polso era ancora più evidente e sapeva che nei giorni successivi non avrebbe fatto altro che peggiorare, ma non faceva più così male come il giorno prima. Adesso, guardandolo, Charlie riusciva a rievocare solo l'estrema dolcezza con cui Michael lo aveva sfiorato con le labbra, baciando ogni centimetro di quella macchia violacea.

Chiuse gli occhi, quando insieme a quel ricordo arrivarono in rapida successione anche tutti gli altri: lui che la portava in braccio fino alla sua camera da letto, che le passava una delle su t-shirt per fargliela indossare, che le offriva un posto in cui rimanere e che la minacciava di trasferirsi a casa sua se lei avesse rifiutato.

Era folle, ma non aveva dubbi che l'avrebbe fatto.

Qualunque cosa fosse accaduta dieci anni prima, qualunque muro lui avesse innalzato da allora tra loro, la preoccupazione che le aveva manifestato la sera prima non poteva essere una menzogna. Non si poteva simulare in quel modo. La reazione di Michael era stata reale ed era per questo che Charlie non comprendeva.

Il tremore che lo aveva scosso alla vista del livido, la furia che non era riuscito a celare dietro gli occhi, la preoccupazione che lo aveva spinto a offrirle di rimanere da lui.

Tutto quello sembrava quasi...

Non dire amore

Non dire amore

Non dire amore

Aveva bandito quella parola dalla sua mente dieci anni prima. Quella parola, proprio quella parola, non poteva stare in una frase il cui soggetto era Michael Bane. Lo aveva imparato a proprie spese. Ma più lei tentava di allontanarla, di rifuggire al suo significato, di farla naufragare lontano dai pensieri, più quella si spostava in un punto ben preciso in mezzo al suo petto e cominciava a diffondere calore. Un calore che, si rese conto, era sempre stato lì insieme al dolore e che era il principio della sua fine. Sembrava davvero determinata a sprofondare nella tragedia dei suoi stessi sentimenti.

Allargò le braccia, la frustrazione che aveva preso possesso dei muscoli, e le abbatté sul materasso.

Le dita della mano sinistra incontrarono qualcosa di solido. I ricettori della sua mente lo riconobbero prima ancora che la sua mente ne formulasse il nome.

Anche stavolta si era svegliata prima di lui, ma non aveva senso scappare, no?

Sembravano aver raggiunto una sorta di accordo, avevano una data di scadenza. Approfittare di quel tempo non poteva essere così drammatico.

Richiamata dal calore che irradiava il corpo dietro di lei, si voltò. Inorridì.

La sua mano si mosse prima che lo facesse il suo cervello e un pugno poderoso lo colpì dritto alla spalla. Michael spalancò gli occhi nel momento in cui Charlie cominciò a gridare. «Che stronzo!»

«Che cazzo!» rilanciò lui un momento dopo, massaggiandosi il punto colpito. «Questo non era proprio il tipo di risveglio in cui avevo sperato.» Si sdraiò di nuovo completamente, voltandosi sulla schiena, le palpebre appesantite dal sonno bruscamente interrotto, uno sbadiglio sulle labbra che a quell'ora avevano una piega pigra e morbida.

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