Capitolo 3 (Charlie - presente)

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Nella sua camera tutto era rimasto come lo aveva lasciato dieci anni prima. La scrivania in legno chiaro incassata nella libreria traboccava di libri e quaderni, il letto aveva ancora le coperte lilla che l'avevano avvolta durante la sua ultima notte sull'isola, il braccio della lampada pendeva ancora sopra il cuscino sopra il quale si era sempre rannicchiata a scrivere o a leggere.

«Sarò fuori per tutto il giorno, se ti serve qualcosa chiama i tuoi fratelli!» La voce della madre giunse dal fondo delle scale, chiara, squillante, totalmente indifferente.

«Okay mam..» Il rumore di una porta che sbatteva risuonò sopra le sue parole. «...ma» Charlie si appoggiò alla porta, richiudendola. «Tipico.» Scosse la testa con malcelato sarcasmo. Se aveva imparato qualcosa in quei dieci anni, era che arrabbiarsi o rimanerci male era un inutile spreco di energie. Se si escludeva la devozione incondizionata verso Maxim, Queen non aveva mai mostrato di avere un grande senso materno. Ma dopo averla costretta a tornare a casa con un bieco ricatto morale, avrebbe almeno potuto fingere di tenerci al punto da passare un po' di tempo con lei.

«In questi dieci anni siamo sempre stati noi a dover salire su un aereo per venire a trovarti.»

Intendi tutte e quattro le volte? Avrebbe voluto rispondere Charlie, che invece si era morsa la lingua.

«È ora di tornare a casa e stare un po' con la tua famiglia. Mostrare un po' di gratitudine a me e a tuo fratello, per averti mantenuta per tutti questi anni, mentre ti nascondevi in Italia.»

A studiare. Sono venuta in Italia per studiare. Non ho fatto altro per dieci anni. Ma ancora una volta era rimasta in silenzio, incapace sia di difendere se stessa, sia di mandare giù quel nodo di inadeguatezza che le si stringeva in gola ogni volta che sua madre si degnava di farle una telefonata.

«Spero che tu non sia ancora il disastro che Michael Bane ha costretto all'esilio.»

Quella era stata la telefonata con cui un mese prima, sua madre si era congratulata con lei per la sua laurea.

Dopo aver riagganciato, Charlie era stata costretta ad asciugarsi gli occhi con la manica del tailleur. Francesca, che si era laureata con lei, l'aveva raggiunta dandole un'amichevole gomitata nelle costole. Anche lei aveva gli occhi lucidi. «Lo so. Lo so. Sembra che il compito dei genitori in queste occasioni sia farci commuovere.» Charlie aveva semplicemente serrato le labbra e annuito. Quelle erano le occasioni in cui era difficile non sentire il peso della solitudine. Uno dei traguardi più importanti della sua vita, e non c'era nessuno a celebrarlo insieme a lei.

La donna gentile che stava alla portineria del suo palazzo almeno non si era dimenticata del suo giorno e le aveva fatto tante calorose congratulazioni, aggiungendovi una profumata crostata alla marmellata di fichi come regalo. Charlie l'aveva ringraziata con un caloroso abbraccio prima di avviarsi all'ascensore, ma la donna l'aveva fermata, infilandole sotto il braccio un pacco avvolto in una carta regalo rossa. La donna si era stretta nelle spalle davanti alla sua curiosità. «L'ho trovato stamattina in portineria. Il biglietto diceva che era per te.»

Aveva atteso di essere in pigiama prima di strappare l'involucro rosso. All'interno, aveva trovato un'elegante scatola in velluto nero e adagiati sul fondo, un quaderno ad anelli dalla copertina rosa scuro e un'elegante penna stilografica.

Le note di Charlie.

Era rimasta a fissarla per un'eternità, o forse solo per un secondo. Quando si era ripresa aveva richiuso tutto e buttato la scatola sul fondo dell'armadio, lì dove non avrebbe potuto vederla. L'aveva lasciata a Roma.

«Solo per qualche settimana.» Serrò i pugni, i denti. «Puoi resistere per qualche settimana.» Con una leggera spinta Charlie si allontanò dalla porta.

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