Capitolo 20 (Charlie - Presente)

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Alla fine era arrivata in ufficio con un'ora e trentasette minuti di ritardo, i capelli bagnati e il vestito e le scarpe della sera prima.

Aveva pensato di prendere in prestito da Iris o da Bobby dei vestiti puliti, oltre che la loro auto, ma esisteva una sostanziale differenza di taglia che glielo aveva impedito, specialmente nella zona tette, dove la differenza si accentuava tristemente. Se avesse indossato uno dei loro vestiti, sarebbe sembrata una bambina che per gioco si era infilata nel guardaroba della mamma.

La sicurezza che la sera prima l'aveva fatta sentire bella ed eccitante, era evaporata alla luce del sole e i dettagli che il vestito lasciava intravedere l'avevano costretta a stringere le braccia sul petto e camminare a passo spedito... (d'accordo, a correre) verso il suo ufficio, occhi bassi, nella speranza di non attirare l'attenzione.

L'unica nota positiva era che l'ufficio di Michael era vuoto come il suo, quando era arrivata.

Magari il suo ritardo non era stato notato. Doveva aver fatto tardi anche lui la sera prima. Aveva lasciato il Cove per prima, perciò non sapeva quanto ancora lui si fosse trattenuto. E non erano affari suoi, stabilì sbattendo la borsa sulla scrivania.

Piccoli denti aguzzi si avventarono sul suo stomaco. E se anche Bethany si fosse trattenuta al locale?

Holland e Yrene si erano godute la scena di Michael che incurante la gettava col culo per terra, ma non significava niente. Bethany quella sera era lì per una ragione, era sulle gambe di Michael per una ragione e per la stessa ragione la sua lingua era nella bocca di lui. Non stavano insieme, ma erano amanti. La bionda non era il tipo da anteporre il proprio orgoglio alle proprie voglie. E Michael...

I suoi denti sfregarono tra loro.

Michael aveva già dimostrato di preferire Bethany a lei. Magari, dopo averla toccata e baciata, era andato a riprendersi Bethany per concludere quello che non era riuscito a portare a termine con lei.

Non sei valsa nemmeno il tempo di una scopata

Quelle parole non smettevano di tormentarle il cervello. Dai suoi ricordi, la voce di Micahel si alzava ogni volta più aspra e dura e lei ogni volta si sentiva sempre più sminuita, piccola, insignificante.

Un pugno in faccia le avrebbe fatto meno male.

Un perentorio bussare alla porta la fece sobbalzare. La mano con cui reggeva la pena si mosse in un movimento scomposto e un netto graffio nero tagliò in due la pagina.

«Siamo nervosette, Charlie?»

Quella voce le graffiò i timpani come unghie su una porta di ferro.

«Frank.» Cercò di contenere il fastidio che le provocava il solo vederlo e strinse la penna nella mano così forte da imprimervisi l'impronta, per non sbatterla sul tavolo.

Si era appoggiato con la spalla allo stipite della porta. Non era così alto e massiccio da ostruire la visuale, ma comunque, con quel sorrisetto irritate e la sigaretta che faceva fumo tra le labbra, le sembrava particolarmente ingombrante.

Accartocciò il foglio di quella bozza di contratto che stava esaminando e ne stampò una nuova copia. Tradurre dal russo era sempre impegnativo, ma se avesse dovuto stilare una lista dei motivi per cui voleva che Frank se ne andasse dal suo ufficio, il fatto che la distraesse dal suo lavoro si trovava all'ultimo posto.

«Qui non puoi fumare.» Sperò che la sua voce annoiata lo convincesse a girare sui tacchi, ma quando sentì i suoi passi avanzare nell'ufficio non resistette alla tentazione di battere nervosamente la punta della penna sulla scrivania. Pensare di infilargliela in un occhio era catartico e per un po' tenne a bada l'irritazione, solo fino a che lui non aggirò la scrivania, fermandosi a pochi centimetri da lei, e appoggiando sul piano quasi tutto il suo peso.

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