Capitolo 26 (Charlie - Presente)

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Quella, era la serata delle cattive idee. 

Non era mai stata alla Bonne Soirée, ma la sua immaginazione non era andata molto lontana dalla realtà nel figurarsi l'elegante e ricercato sfarzo del locale di proprietà dei fratelli Bane.

All'ingresso, sopra la porta a due ante, l'insegna con la sofisticata scritta in corsivo che recava il nome del locale era spenta, ma nessuno l'aveva fermata quando aveva spinto contro la porta ed era entrata.

Un denso e speziato aroma di fumo le aveva riempito le narici, un aroma che volteggiava nell'ampia sala in impalpabili tentacoli resi visibili dalle luci bianche, che diffondevano un'atmosfera eterea all'ambiente.

Lampadari di fine cristallo pendevano dal soffitto, aiutando la luce a rifrangersi, e un lungo bancone, dietro il quale erano esposte decine e decine di bottiglie di varie tonalità di colore, correva lungo la parete in fondo.

Data la grandezza, Charlie immaginava che di solito il locale ospitasse molti più tavoli. La sua fantasia si figurava alti tavolini ovali in vetro scuro, con posaceneri al centro.

Quella sera invece, c'era un unico lungo tavolo al centro del locale, con sedie che dovevano essere state abbandonate da poco.

La cena doveva essere appena terminata. Ma non era quello il vero intrattenimento della serata, giusto?

Lì, accanto al tavolo, l'odore penetrante del tabacco era più intenso, ma non fu quello a farle storcere il naso.

Non ci sarebbe stato nessun secondo atto in quella serata, nessun intrattenimento.

Charlie non aveva chiesto a Maxim cosa ci avesse fatto con le informazioni che gli aveva passato, ma non aveva dubbi che il fratello le avesse usate per sabotare il piano di Michael.

Si sentiva in colpa per averlo fatto? No! Ma non per le ragioni che credeva suo fratello.

Michael si era abbassato allo stesso, infimo livello di Maxim, dimostrando di non farsi alcuno scrupolo nello sfruttare delle ragazze per il proprio tornaconto personale. Perché quella scoperta le facesse salire le lacrime agli occhi ogni volta che ci pensava, ancora non riusciva a capirlo.

Michael le aveva dimostrato più e più volte di saper essere spietato, eppure aveva continuato a credere che in tutto quel castello di menzogne, quella fosse l'unica verità che le avesse concesso.

Quello stupido nodo alla gola le ricordò quanto si era sbagliata.

E allora, invece di restare a casa e sentirlo crescere fino a farle perdere il respiro e affiorare le lacrime, aveva deciso che sarebbe stata testimone della sua disfatta.

Mentre indossava l'abito rosso e si spennellava il trucco sugli occhi e sulle labbra, aveva continuato a ripetersi che non c'era nessun altro motivo per cui si stava andando a infilare dritta dritta nella tana del lupo.

La verità che non avrebbe ammesso nemmeno a se stessa, era che aveva bisogno di vedere ancora una volta con i suoi occhi quello che lui era davvero, di afferrare quella bolla di disperazione sul fondo della propria gola e urlarle "hai visto? Non hai niente da rimpiangere, perché quello che hai avuto da lui non è stato altro che una bugia".

I tacchi calpestarono il pavimento in marmo lucido, ogni colpo secco e determinato la avvicinava alle scale che scendevano a precipizio fino all'aura scarlatta dell'inferno. Le sue gambe si fermarono alla sommità di quella lussuosa discesa. Il cuore pompava ondate di calore sotto la pelle.

Divanetti e poltrone drappeggiati in fine velluto, che a causa delle luci soffuse avevano perso il loro colore originario. Sui bassi tavoli, posizionati davanti a ognuno di essi, erano appoggiate bottiglie di vetro dal collo corto dentro le quali galleggiava una sostanza, che da quella distanza e per via delle ombre, poteva sembrare tanto whiskey quanto sangue. Lampade a muro erano affisse lungo tutte le pareti e lì dove il suo sguardo arrivava a malapena, si intravedeva quello che doveva essere un palco.

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