Prologue

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La campanella risuonò nel lungo e tetro corridoio. Un suono assordante, paragonabile al gracchiare del corvo immobile sulla sequoia, appena fuori dalle mura.

Si scatenò l'inferno non appena le porte delle celle, illuminate solo da qualche raggio lunare, si aprirono con il meccanismo destinato alle sole emergenze; i detenuti si ammucchiarono come un branco di lupi pronti a scannarsi per uscire vittoriosi e indenni dall'incendio. Le fiamme divampavano, divoravano i tendaggi e pochi oggetti essenziali che arredavano le stanzette.

Due occhi si aprirono di scatto, intuendo che quello fosse il famoso segnale per fuggire da quella maledetta struttura. Due occhi verdi fiammeggianti; occhi indagatori, imperscrutabili e tremendamente freddi.

Occhi che avevano visto talmente tanto dolore e sangue che ormai nessuno poteva leggerci all'interno delle emozioni; erano vuoti. Occhi che ogni essere umano, degno di essere ancora definito tale, lì dentro, temeva.

Nessuno osava rivolgergli la parola, forse per paura, forse per non intromettersi nei suoi loschi piani e intralciargli la strada.

Nessuno l'aveva mai udito articolare una frase; passavano giornate intere a immaginarsi come potesse essere la voce di quel giovane ragazzo.

Ormai era conosciuto solo per quei famosi fari penetranti che aveva al posto degli occhi, che potevano trafiggerti con un solo sguardo, facendoti sentire debole.

Indossò le sue scarpe ormai trasandate e scucite per lasciare, per l'ultima volta, quella cella odorante di muffa e sporcizia. Corse nei lunghi corridoi come se fosse un grande labirinto; erano giorni che li percorreva nella sua testa per trovarsi preparato a questo momento tanto atteso.

Raggiunse le cucine, dove prese la via che conduceva alla dispensa. Essendo uno dei pochi ancora normali lì dentro, quando toccava ai detenuti preparare il pane, lui si appartava per osservare i suoi compagni e quando arrivava il momento di ritornarsene nelle proprie celle, rimaneva lì ancora qualche minuto, in pace, lontano dalle urla dei compagni, se così si poteva chiamarli, e dalla confusione.

Si concedeva qualche momento per perdersi nei suoi pensieri; non per rimorso di quello che aveva compiuto, ma solo per escogitare come uscire dalla famosa prigione, chiamata Briarcliff.

Un giorno, quando ormai si era stancato di affogare nella sua tela di pensieri, un rumore attirò la sua attenzione. Spostò lo sguardo verso la dispensa e notò una delle lavoratrici, Julie, volontaria o non, a lui non importava, uscire dall'edificio attraverso un tunnel nascosto. Nei giorni a seguire aveva rubato la chiave di quella botola nascosta alla stessa ragazza, mentre intraprendevano un rapporto che di casto e innocente, aveva ben poco. Ovviamente lei non poteva sapere che il suo unico scopo era recuperare quella maledetta chiave, infatti, subito dopo averla staccata dal grande mazzo, mentre la ragazza dormiva nel giaciglio scomposto ed improvvisato, se n'era andato, lasciandola sola, come è sua abitudine fare con le ragazze.

Le usava, o per ottenere qualcosa o per puro divertimento, considerandole oggetti.

Si riprese dai suoi pensieri e proseguì verso quella porta così pesante che sembrava non fosse mai stata aperta. Incuteva paura, oscurità, proprio come ogni cosa lì dentro e proprio come lui.

Inserì la chiave e girò la maniglia con una tale foga che quasi gli rimase in mano, insieme ad un sottile strato di ruggine rossastra.

Cominciò a correre lungo quelle rotaie ormai abbandonate, fino a quando non raggiunse una fitta boscaglia, avvolta dalla nebbia. Una macchina nera con i finestrini oscurati lo aspettava, parcheggiata sotto un grosso pino imponente. Si voltò indietro con un ghigno diabolico, quasi macabro e osservò la grande devastazione che aveva preso il sopravvento sull'edificio, come il fuoco avvolgeva la struttura, paragonabile a un grosso demonio che stringeva la sua preda, fino a disintegrarla.

Salì in macchina lasciandosi alle spalle quell'aria pregna di sporcizia e odio.

«Puzzi, davvero molto.» Esordì un ragazzo biondo dalla pelle diafana e due grandi occhi cerulei.

«Passa quattro mesi lì dentro, poi dimmi se profumi di rosa primaverile.» Sputò scocciato il giovane.

«Dovresti ringraziarmi per aver tirato fuori il tuo culo da quel fottuto posto, sì?» Sbottò il biondo mentre indicava la strada all'uomo al volante.

«Hai ragione.» Borbottò restio l'altro in risposta.

«E' la prima volta, da quando ti conosco, che dai ragione o che dai ascolto a qualcuno.» Ghignò appoggiando i piedi sul sedile, posizionandosi meglio.

«A proposito, come hai fatto a farmi uscire?» Domandò il fuggiasco scompigliandosi i capelli sporchi. Gli davano fastidio e non vedeva l'ora di potersi fare una doccia.

«Dopo tutto questo tempo ti stupisci ancora? Amico, la mafia è ovunque e ottiene, sempre, ciò che vuole.» Rise il ragazzo accendendosi una sigaretta e offrendola all'amico, che ridacchiò aspirando il fumo fra i denti.

«Ora non devo fare altro che trovarla.»

A|N

Questo è il prologo della storia, che ne dite?

Non ho molto da dirvi, vado a vedere American Horror Story Freak Show.

Continuo a dieci stelline e 5 commenti, notte babe.

Carolina.

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