Chapter 43

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La mazza.
Jackson teneva la sua mazza nel suo armadio, dovevo solo raggiungere la sua stanza e munirmi dell'unica cosa che potesse darmi un minimo vantaggio sull'intruso.
Respirai profondamente prima di mettere fuori la testa dalla porta di camera mia; il silenzio regnava nella villa, come se non fosse successo nulla.
Mi chiesi se fosse solo la mia fervida immaginazione ma scacciai quell'ipotesi con la medesima velocità con cui si era fatta largo nella mia mente.
Improvvisamente il suono di un'asse di parquet  scricchiolante si espanse fino a giungere alle mie orecchie.

«Fossi in te, non complicherei maggiormente le cose, è un gioco a senso unico,» la sua voce, udita per la prima volta di persona, risultava ancora più minacciosa e profonda. «piccolo spoiler: quella che perde, sei tu
A quelle parole mi paralizzai sul posto e tornai in camera mia per chiamare la polizia.

«Uno.»
Chiusi la porta a chiave per poi raggiungere il mio telefono, mise il piede sul primo gradino cominciando a salire.

«Due.»
Deglutii rumorosamente accovacciandomi vicino al letto, armeggiai sulla tastiera del mio telefono, fui in procinto di avviare la chiamata con il 911, quando, il cellulare prese a vibrare.

«Tre.»
Premetti il tasto verde rispondendo con un filo di voce.
«Harry aiutami, è in casa.»
Il telefono si spense avendo terminato la batteria, presi a tremare nascondendomi sotto al letto tappandomi la bocca con la mano.
La sua voce divenne ovattata per qualche secondo.

«Sette.»
Mi risvegliai dai miei pensieri quando la sua voce ruppe il silenzio, era tremendamente vicino alla mia stanza.
Singhiozzai mentre copiose lacrime scivolavano salate lungo le mie guance arrossate.

«Otto. Sto venendo a prenderti piccola.»
Sentii le sue dita accarezzare lentamente la porta bianca in legno della mia stanza, facendomi aumentare il battito cardiaco.

«Nove.»
Strinsi le palpebre preparandomi al peggio, mi chiesi per quale motivo ce l'avesse con me e cosa gli avessi fatto.
Mi chiesi se si trattasse solo di uno psicopatico che si dilettava nell'attuare questo gioco cinico e macabro.

«Dieci.»
Sfondò la porta con un calcio facendomi sobbalzare.
Mi strinsi ancora di più quasi a voler diventare invisibile premendo forte il palmo sulle labbra tremanti.

«Vedo che sei entrata nell'ottica del gioco, mi diverte maggiormente quando opponete resistenza,» si fermò ai piedi del letto, i suoi stivaletti in pelle nera, leggermente rovinati in punta, erano a pochi centimetri dal mio naso.
«soprattutto se sei tu a farlo, essendo la mia preferita.» Terminò la frase con una risata cinica che mi gelò il sangue nelle vene.
Cominciò a vagare per la stanza frugando tra le mie cose.

«Belle mutandine, sarei curioso di vedere come ti starebbero addosso.» Le lasciò cadere sul tappeto constatando fosse il paio, succinto e sexy, regalatomi da Bethany.

«Ma cosa abbiamo qui? Una graziosa foto di famiglia e non mi sembrano essere i Moore, devi dirmi qualcosa?» Strinsi i denti al pensiero che questo sociopatico stesse toccando la foto con i miei veri genitori.
Rimise al posto il ricordo, tornando poi più vicino al letto, dove si sedette.

«C'è un buon odore qui dentro.»
Improvvisamente sentii qualcosa afferrarmi la caviglia, per poi essere trascinata fuori dal letto.
Mi coprii gli occhi con le mani a causa del forte impatto con la luce della stanza.

«Finalmente ci incontriamo, faccia a faccia.»
Mi rifiutai di aprire gli occhi per evitare di vedere il suo viso, mi fiondai sulla porta per aprirla ma afferrò i miei capelli portandomi contro il suo petto per poi schiacciarmi contro il muro.
Posizionò il suo viso all'altezza del mio collo per poi inspirare, provocandomi una scia di brividi di paura.

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