Chapter 38

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Mi voltai indietro cercando di scorgere tra il traffico della cittadina una possibile macchina sospetta o che comunque ci stesse effettivamente seguendo.

Passai qualche minuto in rassegna della strada non trovando quello che speravo, ironicamente, di vedere.

«Non vedo nessuno, sei sicuro di non esserti sbagliato?» Mi girai verso il ragazzo con la mascella serrata intento ad accelerare per seminare chiunque lui considerasse una minaccia.

Aspettai speranzosa la sua risposta, ma questa non fuoriuscì mai dalla sua bocca rosea, così, pensando che non avesse sentito a causa dell'eccessiva concentrazione, aprii la bocca per ripetere.

«Ho sentito, non c'è bisogno che tu lo ripeta.» Mi gelò con un'occhiata fugace prima che potessi parlare.

Ogni volta che accadeva qualcosa di amichevole fra di noi, era come se spingesse un interruttore e diventasse di ghiaccio, distaccato ed impassibile.

Un robot.

«Due macchine indietro, quella nera,» tirò fuori il cellulare e digitò qualcosa ad un numero non salvato. «è da venti minuti che ci sta pedinando.»

Come poteva esserne così sicuro?

Dopotutto a quest'ora in molti escono dal lavoro e percorrono questa tangenziale per tornarsene a casa propria.

«Non sto dicendo che tu sia pazzo, ma-» Non feci in tempo, come la maggior parte delle volte che interloquivo con lui, che mi zittì interrompendomi a metà frase, lasciandomi con le parole sulla lingua.

«Lo conosco, so che lavoro fa.»

Mi girai di scatto verso il guidatore, notando che fosse notevolmente più vecchio del giovane al mio fianco, così non potei evitare di domandargli come facesse a conoscerlo, ma soprattutto per quale motivo era in contatto, o comunque aveva avuto a che fare, con un tizio così losco che pedinava la gente per strada senza motivo.

La sua esperienza era connessa con la risposta a queste domande?

Inizia a preoccuparmi e per la prima volta ebbi paura che lui centrasse con quello che mi era accaduto nei giorni passati, seppure mi fossi sempre imposta e convinta che lui non fosse il responsabile, o comunque colpevole.

«Non farmi domande di cui non vorresti sapere le risposte.» Alzò un sopracciglio in maniera arrogante; non potei fare a meno di apprezzare la sua espressione seducente.

«Chi te lo dice che non voglio sapere la risposta?» Domandai alzando a mia volta le sopracciglia quasi in maniera provocatoria.

Se pensava di cavarsela con un semplice battibecco doveva sapere che ero molto decisa ad ottenere ciò che voglio.

«Te lo si legge in faccia, Gwendy.» Sogghignò incurvando l'angolo sinistro delle sue labbra provocando un suono gutturale proveniente dalla profondità della sua gola.

Starnutii così misi la mano sul suo cruscotto per prendere un fazzoletto, supponendo che, come ogni persona, ne tenesse almeno un pacchetto lì dentro.

Fino ad ora avevo sperato di non ammalarmi siccome la mia classe era piena di malati, assomigliava di più ad un lazzaretto che ad un'aula.

«Fossi in te, non lo farei,» mi ammonì non appena appoggiai le dita sulla piccola maniglia destinata all'apertura dello sportello. «dico sul serio.» Mi gelò con un'occhiata, talmente profonda che mi convinse a non aprire più il cruscotto.

Mi girai verso il finestrino notando che stavamo uscendo dalla tangenziale per intraprendere una strada a me completamente sconosciuta, ma sicura che non fosse quella per la cittadina a cui eravamo diretti.

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