Chapter 51

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 Osservai la pioggia scivolare lentamente lungo il finestrino umido per poi infrangersi alla base di esso, la testa mi doleva e l'ansia mi stava divorando lo stomaco, seppure non avessi nulla da temere. A casa di Harry avevo potuto constatare che mi ero assentata, per così dire, una settimana, causando la preoccupazione di tutti e la mobilitazione delle squadre di polizia.

Non volevo diventare lo zimbello di Brighton, tanto meno non volevo essere soffocata dalle assillanti e perpetue domande di due agenti; Harry non mi aveva quasi proferito parola dopo ieri sera, facendomi sentire ancora più agitata.

Parcheggiò accuratamente la sua Ranger Rover lungo il mio vialetto per poi scendere dal veicolo, lo raggiunsi affiancandolo, giocavo con le dita delle mie mani per il nervosismo, il giovane se n'accorse così avvolse il suo braccio sulle mie spalle cercando di darmi conforto, cosa che mi stupì leggermente, facendomi dimenticare per qualche secondo le mie preoccupazioni. Rimasi persa nei miei pensieri che non mi resi conto che il bottone appena sotto il nome dei Moore era stato premuto provocando un suono all'ingresso della villa, deglutii non sapendo che fare.

Dopo svariati minuti una donna graziosa con gli occhi gonfi e arrossati apparì nella nostra visuale, strabuzzò gli occhi mentre si riempirono di lacrime impedendole di focalizzare bene la vista, «Gwen, tesoro mio!» Singhiozzò buttandomi le braccia al collo, Harry si staccò di qualche centimetro lasciandoci un piccolo spazio di privacy, seppure i suoi occhi vigili erano fissi sulla mia figura paralizzata.

Il profumo di mia madre invase le mie narici facendomi sentire nuovamente a casa e protetta, mi lasciai sfuggire qualche lacrime che si infranse nel maglione verde acido di Lucinda, la quale continuava ad abbracciarmi e stringermi come se fossi realmente sua figlia, cosa che mi commosse; non ero ancora abituata a questi atteggiamenti ma la ringraziai mentalmente.

Dopo svariati minuti si ricompose staccandosi da me e lisciandosi il tessuto di lana, con la solita grazia invitò me ed il giovane a prendere posto sul nostri divano, per parlare di ciò che era accaduto e di come il riccio mi avesse trovata. Harry mi strinse il ginocchio quando lei mi domandò cosa fosse successo, e mi interruppe prima che potessi iniziare a narrarle del mio rapimento.

In dieci minuti sbrigativi riassunse molto semplicemente cosa mi fosse successo, e mi arrabbiai quando sdrammatizzò la vicenda con una tale facilità, quelli non erano semplici rapitori e soprattutto la situazione era molto più grande di quanto mi avessero raccontato e di quanto avessi compreso, come riprova erano i miei veri genitori.

«Dobbiamo andare alla polizia, devi spiegare anche a loro.» Si alzò di colpo afferrando la cornetta del telefono, le chiesi gentilmente se potessi andare la mattina a seguire, non essendo ancora pronta per poter affrontare degli agenti, ma ella negò rimproverandomi con non essere sciocca, devono prendere quei bastardi, così prese la macchina e, seguita da me ed Harry, obbligato da Lucinda, ci dirigemmo verso la centrale.

***

«Signorina così non mi sta aiutando,» l'agente, un uomo alto, ben curato, con occhi azzurri e capelli corvini, mi scrutava spazientito, «ricominciamo da capo.» Sbuffai quando sentii la medesima frase per la terza volta; mi avevano chiusa in una stanza con un grosso specchio, che supposi fosse unidirezionale. Non avevano permesso a nessuno ad entrare, nemmeno mia madre, cosa che mi mandò in iperventilazione.

«Senta,» mi passai la mano nei capelli sporchi, dio come volevo fare una doccia, «io le ho già detto tutto quello che so.» sbottai davanti alla sua insistenza, cosa credevano che facessi, dicessi loro i nomi dei miei rapitori? 

Gli spiegai di Peter, il ragazzo che si occupava della mia segregazione, ma gli confessai che probabilmente era un nome inventato, usato solo come copertura.

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