Chapter 4

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Mi ritrovai a pensare a cosa sarebbe successo, ora che ero costretta ad abbandonare i miei amici, l'unica cosa più vicina a quello che veniva definito famiglia.

Mi sarei trovata bene dai signori Moore?

Come sarebbe stato andare in una vera e propria scuola?

Un'infinità di domande mi tormentavano causandomi una forte emicrania.

«Riesco a sentire gli ingranaggi del tuo cervello tesoro, tutto okay?» Mi chiese gentilmente la donna guardandomi con occhi velati di preoccupazione. Mi voltai verso il posto di guida e annuii, per poi tornare a fissare il paesaggio fuori dal finestrino.

Più procedevamo e più cominciavano a comparire delle piccole villette, segno che la nostra destinazione si trovasse in città, a Brighton.

«Jackson ha sempre desiderato avere un fratello o una sorella.» Affermò senza smettere di guardare la strada davanti a sé.

«Chi è Jackson?» Domandai pur conoscendo la risposta.

Nessuno mi aveva parlato di un fratellino.

«Nostro figlio, vedrai ti troverai bene.» Sorrise per poi girarsi verso destra trovandosi ad un incrocio stradale. Annuii poco convinta; non avevo intenzione di mettere in dubbio la loro gentilezza o l'ospitalità, anzi, ma ero consapevole dalla mia grande difficoltà ad ambientarmi in nuove situazioni o, ancora peggio, a socializzare.

Detesto socializzare.

«Eccoci.» Parcheggiò la macchina lungo un vialetto rivestito di beole, piccoli lampioncini da esterno erano fissati nel terreno con regolarità e simmetria.

Alzai lo sguardo verso la casa e rimasi stupita osservando la sua imponenza; una villa antica ricoperta di mattoni rossastri e leggermente smussati agli angoli.

«Davvero molto bella, complimenti.» Sussurrai incantata.

«E' casa tua, ora.» Ridacchiò dirigendosi verso la porta in ebano.

«Allora, entriamo?» Sorrise incitandomi ad entrare in casa. Annuii e la seguii all'interno dell'edificio. La villa era spaziosa e ben arredata; trasmetteva accoglienza e non vedevo l'ora di poter vedere la mia nuova camera.

«Come ti sembra?» Domandò appoggiando le borse della spesa sulla penisola in marmo bianco.

«L'adoro.» Risposi con la felicità che fuoriusciva da ogni poro, lei sembrò illuminarsi alla mia affermazione.

Inciampai facendo cadere a terra il barattolo in latta della polpa di pomodoro, così la raccolsi imbarazzata.

«Uhm, mi spiace.» Una voce interruppe le mie scuse facendomi alzare di scatto la testa, i miei occhi ne incontrarono un paio indagatori e distaccati.

«Non pensavo che i bambini dell'orfanotrofio avessero le tette.» Disse senza preoccuparsi di nascondere il fastidio nella sua voce.

La signora Moore lo guardò per poi ridacchiare, probabilmente non si era accorta del tono sarcastico e irritato di suo figlio; credevo che fosse un bambino, non un ragazzo verosimilmente più grande di me.

Quest'ultimo si avvicinò alla mia figura per prendermi dalle mani la latta precedentemente cascata sul pavimento, sfruttò la situazione per sussurrarmi qualcosa nell'orecchio, istintivamente trattenni il respiro.

«Anche se queste non possono definirsi tette.» Ghignò.

Rimasi scioccata dalla sua sfacciataggine, ma anche leggermente ferita dalle sue parole, lui lo notò.

«Jackson, ora vado al lavoro, mostra gentilmente la casa a tua sorella.» Mi si scaldò il cuore quando pronunciò la parentela con una tale naturalezza.

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