7 - Tremare

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Io non mi aspettavo nulla. Nel modo più assoluto, io non ero in attesa di nessun cambiamento. Non ero neppure del tutto sicura di volerlo, ma questo, come fece la Morte, non chiese il permesso.

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Era una mattina più fresca del solito. Settembre era uno dei miei mesi preferiti, nell'aria si sentiva il richiamo ancora lontano dell'inverno e la triste cantilena di foglie prossime alla fine.

Stavo lavando i piatti. Andrea aveva abbandonato il lavoro, aveva ripreso con gli studi e non riusciva a seguire entrambe le cose. Quindi io dovevo, non appena potevo, prendermi parte del suo carico ed aiutare in cucina, non solo lavando le stoviglie, ma anche cucinando.
In realtà mi limitavo a sminuzzare gli ingredienti, non avevo mai avuto la voglia e la bravura per creare piatti commestibili: Giotto lasciava più volte intonsi gli avanzi che mettevo nella ciotola. Un cibo buono neanche per un gatto non sarebbe mai piaciuto ad un cliente stressato da ore di lavoro sottopagate.

«Aurora!». La voce di Adriano era allarmata. Mi tolsi in fretta il grembiule, lanciai un'occhiata a Sergio, che stava facendo bollire qualcosa in una grossa pentola, e mi affacciai sul bancone. Era accaldato, stava per iniziare il turno per il pranzo ed era indaffarato tra tazzine. L'odore delle bevande calde mi fece il solletico al naso.
Aspettai che parlasse. Senza guardarmi negli occhi borbottò: «Mister Eth mi ha appena detto d'aver sentito Deborah. Non può venire a lavoro». Aggrottai la fronte, perché? Senza di lei sarei stata da sola a servire ai tavoli, inoltre dovevo già coprire il vuoto nella cucina. Come minimo sarei dovuta rimanere anche per la cena, lavorare fino alle due senza ricevere nessuno straordinario nello stipendio. Cominciai a sentire l'ansia salirmi in petto.
Decisi che sarebbe stato inutile replicare e come avrei potuto discutere scrivendo su un taccuino? Scrivendo il tutto in stampato maiuscolo?
Infastidita mi infilai di nuovo il grembiule e terminai di fare a pezzi le verdure per il soffritto. Maledizione. Possibile che Deborah avesse dovuto mancare proprio oggi? Domani era venerdì, il mio giorno libero, non poteva evitarmi complicazioni inutili?

«I clienti!»: mi disse Adriano. Sergio mi fece un cenno: «Ce la faccio da solo in cucina, tu pensa a prendere le ordinazioni». Già al culmine di una crisi nervosa afferrai il cerchietto, me lo incastrai tra i capelli e presi il mio taccuino. Mi avvicinai alla cassa, alla quale stava pensando Adriano, tra un caffè ed un altro, e presi un pezzo di scotch. Strappai la pagina bianca su cui avevo scritto: "Posso prendere le vostre ordinazioni?" e l'attaccai all'altezza dello stomaco in modo che il messaggio fosse più rapido ed istantaneo.
Mi diressi immediatamente verso i clienti più timidi, che stavano aspettando qualcuno che li facesse accomodare, e poi mi spostai da quelli già seduti ed impazienti d'ordinare.

Una frittata, un timballo, acqua, un'insalata con le uova, una birra. 

Cercai di tenere a mente tutto scrivendo il più in fretta che potevo. Proseguivo a grandi falcate verso Sergio e gli lasciavo i foglietti accanto.
Poi afferravo un piatto cercando di ricordarmi a chi dovessi portarlo. Il più delle volte sbagliavo e non avevo neppure il tempo di scrivere le mie scuse.
Il rumore era assordante, ma in realtà nella mia testa c'era solo un grande grande silenzio. Ascoltavo il rumore ovattato dell'orologio. Tic toc, tic toc. Era una cantilena incessante.
Posai le bevande. Evitai di cadere quando un bambino mi tagliò la strada. Tic toc, tic toc.
Non pensavo ai miei movimenti, il rumore dei miei pensieri era sottile, appena un mormorio. 

La pasta è per quell'uomo. Sì, quello lì. Attenta, una signora ti sta per venire addosso. Ti stanno richiamando al tavolo due.

Tic toc, tic toc.

Era l'ora, ma io non me ne resi conto.

Fu quando dovetti uscire per portare un piatto ad un cliente seduto ad un tavolo sul marciapiede, che me ne ricordai. Zeno era lì, seduto e con la sua macchina fotografica accanto. Mi guardava.
Il mio cuore si fermò, sentii il sangue salirmi in viso, imporporarmi le guance. Persi il fiato e non lo ritrovai.
Mi fece un cenno: «Posso ordinare?». Mi guardai attorno, indietreggiai, sperai che qualcuno mi venisse a salvare.
Strinsi forte il taccuino a me e, con le ginocchia tremanti, mi trascinai verso il suo tavolo. Sentii altre persone richiamare la mia attenzione, ma ignorai tutti e lentamente lo raggiunsi.
Mi sforzai di sorridere, sicuramente non ne uscì una bella espressione. Lui inclinò il lato destro della bocca e disse: «Vorrei una bottiglia d'acqua liscia e... un'insalata mista». Con la mente offuscata presi a scrivere ed aggiunsi, come ben sapevo, senza che me lo dicesse: "Insalata mista, senza acciughe". Ora potevo fuggire. Mi affrettai a farlo. 

Aurora - Silenzio e Voce [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora