Mi auguravo che Gaeli avesse capito quel che doveva, presenziando al colloquio tra me e mio padre, perché certamente non avrebbe avuto altre opportunità.
Da me non avrebbe avuto nulla di più.
Provò ad azzardare qualche domanda, non appena tornammo alla REMS, ma lo ignorai rabbiosa e mi infilai nella mia stanza, chiudendogli la porta in faccia.
Aveva vinto lui ancora una volta. E non perché mi avesse costretta a stare ai suoi comodi, ma perché, nel suo valutare quell'incontro come positivo per la mia malattia, probabilmente, non aveva sbagliato.
Mi sentivo svuotata, leggera, come se mi fossi finalmente tolta un fastidioso dolore che per anni non aveva fatto altro che pungolarmi sulla nuca, torturandomi con fitte di dolore altalenanti, proprio come la voce di mio padre, instabile nella sua fragilità.
Avevo scacciato uno dei tanti spettri della mia vita, lanciato fuori quello scheletro maleodorante via dall'armadio.
Avrei volentieri evitato l'esperienza, se avessi potuto, ma non potevo nascondere il bene che mi aveva fatto.
Mi lasciai scivolare a terra in un sospiro, tenendo la schiena contro la porta.
Di fronte a me, seduto in mezzo alla stanza, tra i due letti paralleli, c'era Ryan.
Traccheggiava con una scacchiera, la stava montando: sistemava con accuratezza i pedoni bianchi dal proprio lato, lasciando quelli neri sdraiati su un fianco.
<<Ciao>>.
Ciao.
Sembrava ringiovanito, rimpicciolito in quella sua postura appallottolata. Il suo viso era molle in un'espressione arresa, ciocche di capelli chiari gli ricadevano ordinati sulla fronte, rendendo un miraggio lontanola pettinatura scarmigliata e scomposta che lo aveva sempre contraddistinto.
Gli occhi violacei ricordavano ben poco quel colore malato che avevano avuto, avvicinandosi più a un porpora intenso, languido e stanco.
Una lacrima dorata era in bilico su un ciglio pallido, Ryan non fece nulla per impedirgli di cadere.
Gettandosi da lì, tinse di quella patina luminescente la testa di un pedone bianco.
Strusciando a terra con il fondoschiena e i piedi, mi accostai a lui, ritrovandomi di fronte alla scacchiera.
<<Vuoi giocare?>>.
Perché le pedine nere sono atterrate?
<<Non stava a me metterle sulla scacchiera>>.
Hai ragione.
Afferrai i pedoni caduti e lentamente, con pazienza, iniziai a riporli nel giusto posto.
<<Le stai mettendo male, il re e la regina vanno dietro>>.
Scossi la testa e li sistemai ugualmente in prima linea, accarezzando il capo del re e osservando perplessa la regina: la trovavo tremendamente familiare.
No, loro sanno badare a loro stessi.
<<Come vuoi>>.
Iniziò lui a muovere di due caselle un primo pedone bianco, io lo seguii a ruota ed avviammo quel gioco dalle regole che avevo forzato già una volta.
Ryan fissava la scacchiera con sguardo poco eloquente, io sbadigliavo ogni tanto, annoiata.
<<E così hai dato il tuo primo addio?>>.
Alzai un sopracciglio e mangiai una sua torre.
Non lo so.
<<Non era un addio quello che hai scambiato con tuo padre?>>.
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Aurora - Silenzio e Voce [Completa]
FantasyAurora ha perso la sua voce. Qualcuno, un volto che fa fatica sia a ricordare che dimenticare, le ha strappato per sempre la capacità di parlare. Mutismo selettivo: un blocco psicologico che le impedisce di esprimersi. La sua vita si accartoccia su...