14 - Scrivere

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Si accarezzò la nuca, aveva un cestino di plastica rossa al posto del carrello: dentro c'erano delle scatolette di cibo per cani, del pane e dei limoni. «Eri piuttosto scossa prima. Stai bene?». Annuii.
«D'accordo... senti, mi sento un po' imbarazzato a chiedertelo così, ma hai letto il biglietto? Perché poco dopo avertelo consegnato ti ho vista andar via di corsa dalla tavola calda». Si interruppe, era a disagio: «Non vorrei averti infastidita in alcun modo, spero tu abbia preso la faccenda in modo positivo».
Il suo sguardo era davvero preoccupato e mi fece tenerezza.
Non avevo letto il biglietto e non avevo idea di che fine avesse fatto, ma la curiosità mi spinse sulla bocca dello stomaco.

Non potei fare a meno di preoccuparmi per il mio posto di lavoro, non sapevo di essere corsa via. Mi avrebbero licenziata?

Mi infilai una mano nelle tasche dei jeans e tirai fuori il taccuino ed una penna.
"L'ho letto. Nulla che mi abbia infastidita". Avevo paura che si sarebbe risentito a sapere che l'avevo perso, dovevo ritrovarlo.
«Bene, bene...». Si impensierì, ma fece un sorrisetto ambiguo. Durò un istante: «Che stai comprando?».
Gli indicai il carrello e lui mugugnò: «Quante scatolette di tonno».
"Sono per il mio gatto".

Lentamente continuammo a camminare per i corridoi del supermercato. Ogni tanto lui prendeva qualcosa da aggiungere alla sua spesa, io mi vergognavo troppo e passai angosciata di fronte alle caramelle in offerta, ben sapendo che non avrei mai avuto il coraggio di prenderle di fronte a lui.
«Hai un gatto? Wow. Non mi dispiacciono, sono molto belli, ma li trovo solo un po' freddi, non credi? Io invece ho un cane».
Lo avevo visto prima, lo ricordavo.
"Come si chiama?".
«Google».
"Originale".
«E... vivete da soli, tu ed il gatto?».
"Sì. Ci siamo solamente lui ed io".

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«Non sapevo abitassi così vicina a me». Avrei voluto chiedergli ironicamente se, piuttosto, avesse mai saputo della mia esistenza prima d'ora. Stavo finendo di pagare alla cassa ed impilare i pochi prodotti nella busta.
«Aspetta, ti aiuto». Feci un sorriso di ringraziamento e gli passai la mia misera spesa. Non avevo preso neppure la metà di quello che mi serviva, sarei dovuta tornare domani e sperare di non rincontrarlo. Anche se il non volerlo rivedere mi sembrava già di per sé una bestemmia.
Chissà se avrei ritrovato le caramelle gommose in offerta...

Ci avviammo verso la via di casa. Era poco distante, una breve passeggiata piacevole.
Avevo approfittato delle mani libere per riprendere il taccuino. Lo stringevo e me lo premevo sul petto in attesa di dover parlare. La mancanza dell'orologio di mia madre si faceva sentire, immaginai che fosse un po' così la sensazione di un arto perduto.

In un silenzio imbarazzante raggiungemmo il portone del mio condominio. Lui mi passò la busta ed io la ripresi.
Rimanemmo a guardarci per qualche istante. I suoi occhi color muschio, scuri e morbidi, mi scrutavano indecisi. Io lo fissavo e mi sentivo sul punto di scoppiare. Il mio cuore non aveva smesso un istante di mandarmi segnali di allarme: "Potrei star per morire da un momento all'altro. In caso, tu annuncia l'infarto".
Poi esordì: «Oggi è il tuo giorno libero?». Annuii.
«Stasera ti va di andare a prendere qualcosa da bere?».
"Sono astemia".
«Neanche un bicchiere d'acqua liscia?». Mi stava chiedendo un appuntamento? Un cosa? Cos'era questo? Cosa significava?

In quell'istante cominciai davvero a pensare che qualcosa non stesse andando nel modo giusto.

Al diavolo i ricordi mancanti, al diavolo ogni cosa. Zeno Magistra, il ragazzo che osservavo da lontano, ma molto lontano, da quasi tutta una vita, ora sembrava essersi reso conto della mia esistenza. Un'esistenza che gli avevo voluto nascondere. Mi ero sempre tenuta in disparte e mai c'era stato giorno nel quale non avessi distolto lo sguardo.
Io avevo preferito essere soltanto una silhouette sulla scenografia della sua vita, un dettaglio sempre presente, ma che, come tale, non sarebbe mai stato notato.

Mi sarei accontentata per sempre d'essere un viso tra i tanti, in una folla di una metropoli come Milano; due occhi bassi di una persona seduta accanto a lui sulla metro; l'anonima cameriera che serviva nella tavola calda dove andava di solito; un ciuffo di capelli neri che girava per il suo stesso corridoio al liceo; una delle tante persone che incontri più e più volte nella tua vita ma che, per un motivo o per un altro, non sei mai destinato ad incontrare davvero.
I nostri binari erano appena entrati in rotta di collisione.

"Sì".

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Nota autrice: Dite che Aurora ha fatto bene ad accettare?
Insomma, è stato il suo sogno di una vita. Un sogno un po' psicotico e ossessivo, ma si tratta pur sempre di un sogno.

Se il capitolo vi è piaciuto, regalarmi una stellina sarebbe molto molto molto molto [...] carino (?)

Aurora - Silenzio e Voce [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora