63 - Chiacchierare

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Quando aprii la porta della camera, circa quattro ore dopo la turbolenta sveglia all'alba, sobbalzai davvero.
Lorenzo indossava una felpa bianca.
Non si perse in preamboli questa volta, mi mise tra le mani qualche fetta biscottata rubata dalla mensa. Serena ed io ci eravamo rimesse a dormire, lei ormai esausta, ma finalmente rilassata, io con la speranza di sentire qualcosa nei sogni tornati improvvisamente silenziosi.

<<Il test?>>.
Sbadigliai e lo scansai. Lo sorpassai e mi infilai nel corridoio.
<<Ehi!>>.
<<Lascia stare, è nervosa. Entra, ti racconto io>>: sentii dire da Serena, il suo tono era stranamente placido.

Dovevo andare da Gaeli, ma non avevo ben chiaro cosa gli avrei detto una volta lì.
Oltrepassai la porta del suo studio e solo un istante dopo mi venne il dubbio d'essere arrivata in anticipo.

Era seduto alla scrivania, sistemava della carte, sul naso aveva poggiati dei sottili occhiali, la barba leggermente più visibile del solito.

Bussai sullo stipite del muro, ormai entrata nella stanza. Alzò lo sguardo e si tolse le lenti: <<Oh>>.

Controllò l'orologio appeso al muro: <<Sei in anticipo>>.

Mi sedetti rapidamente sulla poltrona e mi appallottolai, indecisa e preoccupata.

L'uomo non riuscì a nascondere un piccolo e ambiguo sorriso, per coprirsi sollevò uno dei fogli che aveva tra le mani.

Ripreso il controllo li abbassò per tornare a scrutarmi: <<Successo qualcosa?>>.

Cosa dovevo dirgli?
Se Ryan era tornato c'era una sola spiegazione: non stavo facendo progressi, il farmaco non funzionava come avrebbe dovuto, l'unica soluzione sarebbe stata quella di tornare ai vecchi medicinali. Sarebbe stata la scelta più giusta ed ovvia, scacciarlo, rimandarlo da dove era venuto, non permettergli di ritrovare la sua forza.

Ma... ma Nathan?
Era stato un attimo soltanto, ma era stato lui a toccarmi, a cercarmi tra dei corridoi bianchi. Non potevo essermi sbagliata.
Volevo rinunciare nuovamente a lui?
È quello che avrebbe desiderato per me, dovevo andare avanti, dimenticarlo come potevo.
Eppure non riuscivo, non di nuovo, non ancora, non dopo aver provato a vivere senza poterlo stringere.

Senza accorgermene corpose lacrime iniziarono a scivolarmi sulle guance, come fossero impazzite.
Mi mancava l'aria, provai a boccheggiare nel tentativo di rubarne un po' solo per me, cercando di riprendermi.
Gaeli scattò in piedi quasi facendo cadere la sedia alle sue spalle, percorse il perimetro della scrivania e si inginocchiò di fronte a me, abbassandosi alla mia altezza e stringendomi.
Gli spasmi del petto non si fermavano ed io non ero in grado di controllarli.
Cercai conforto su di lui, poggiando il viso sulla sua spalla e nascondendo la vista da quel che non volevo vedere.

In fondo alla stanza, immobile nella sua inquietante freddezza, sorrideva e mi guardava la figura spaventosa di Ryan.

Non potevo dire nulla a Gaeli, volevo tornare a sentire il rumore dei sogni.

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Rientravo da una seduta di incontri familiari, probabilmente si trattava di un sabato, perché quel genere d'attività era permessa solamente nel weekend. Avevo rivisto ancora una volta mio zio, seduto all'odiato tavolino circolare, con la sua barba incolta e gli occhi gonfi.
Detestavo quell'uomo: mi ero impegnata a farglielo capire chiaramente, eppure continuava a tornare, a ripresentarsi, nel vano tentativo di stringere un impossibile legame con sua nipote. Una nipote che fino a pochi anni prima aveva depennato dalla sua lista delle cose delle quali curarsi, una nipote che aveva preferito sapere rinchiusa in una casa famiglia per una vita, piuttosto che prendersela a carico e in responsabilità.
"Non avevo abbastanza soldi, Aurora, ero ancora troppo giovane per prenderti con me": questa era la sua scusa ricorrente, quando con frecciate evasive gli ricordavo come gli portassi un rancore incancellabile.

Aurora - Silenzio e Voce [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora