70 - Urlare

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Una settimana dopo ero di fronte allo studio di Gaeli, in attesa, con le mani intrecciate dietro alla schiena.
Perché pensava mi avrebbe fatto bene incontrare un altro schizofrenico? Cosa aveva di speciale?

Picchiettavo la pianta del piede al ritmo delle mie palpitazioni, avrei voluto un orologio al polso per controllare l'evidente ritardo che stava facendo quell'uomo, ma non ne sarebbe valsa la pena.
La clessidra di Lorenzo l'avevo sistemata in bella vista sulla scrivania, come un simbolo che fungesse da monito: non dovevo sprecare il mio tempo.

Mi ero svegliata presto, chiedendo ad un'infermiera di venirmi a chiamare verso le 7.
Uscire dalle lenzuola aveva richiesto tutta la mia forza di volontà, abituata com'ero alle sveglie alle 11 della mattina. E, rendendo vano il mio impegno, lo psichiatra ancora non era arrivato.

Sbuffai.

Non c'era quasi nessun paziente per i corridoi, osservavo solo il lento formicolare di medici ed infermieri che si preparavano alla giornata. Sentivo dalla mensa l'odore dei muffin caldi, che facevano schifo, ma avevano pur sempre un buon odore.

Dei passi più pesanti e familiari mi fecero voltare di scatto.

Gaeli camminava spedito verso di me, sorridendo e mostrando così i suoi denti perfetti. Alle sue spalle svolazzava in silenzio il camice azzurro.

Aveva detto d'averlo messo accidentalmente in lavatrice assieme a dei capi colorati, compromettendo così l'intenso bianco che lo contraddistingueva, ma immaginavo non si fosse trattato di un fatto accidentale, anche perché non spettava a lui lavare i suoi camici.

<<Ci sono, scusa il ritardo>>.

Socchiusi le palpebre: "Sono io la donna, dovrei essere io a farmi desiderare".

Mi strinse le spalle e mi guidò verso la fine del corridoio: <<Mi hanno sempre scambiato per omosessuale in università, la mia femminilità deve essere particolarmente sviluppata>>.

Roteai gli occhi e mi feci scortare.

Sentii la sua presa farsi poco a poco più salda, mentre ci avvicinavamo ad una delle uscite d'emergenza che dava sul retro della REMS.

Bisbigliò: <<Lo faranno entrare da qui, dove le stanze sono vuote. Non vogliono turbare nessuno>>.

Cosa gli faceva pensare che non ne sarei rimasta turbata a mia volta?

Proprio in quell'istante, dall'esterno, si sentirono le ruote di un'autovettura fermarsi nei paraggi.

Gaeli mollò la stretta sulle mie spalle dandomi un paio di pacche: <<Giusto in tempo>>.

Si spinse in avanti e affondò le mani sul maniglione antipanico, spalancando le due ante della grande porta.

Io rimasi indietro, ma vidi chiaramente l'ambulanza a sirene spente parcheggiata poco più in là, le luci azzurre lampeggiavano ipnotiche.

Federico scomparve tra altri due medici che si muovevano concitati accanto alla vettura, continuai a riconoscerlo per il camice azzurro.
Con cautela aprirono i portelloni posteriori. Due infermieri fecero scendere un uomo, tenendolo da entrambi i lati.
I piedi di lui non si muovevano, rimanevano penzoloni nel vuoto, strusciando inevitabilmente la punta consumata delle scarpe grigie sul terreno. Il suo volto era accasciato in avanti, coperto da una zazzera di lunghi capelli castani.

Lo accompagnarono di peso fino alla porta, dove, al loro posto, presero il controllo i medici, tra cui Gaeli.
Afferrandolo sotto alle ascelle, lo sollevarono come avevano fatto poco prima gli infermieri e presero a trascinarlo per i corridoi.
Nessuno diceva nulla, si scambiavano solamente profonde occhiate d'intesa.

Aurora - Silenzio e Voce [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora