27 - Soffrire

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La mia corsa fu molto poco eroica: presi la metro.

Mi ritrovai a tamburellare nervosamente con il piede, a fare avanti ed indietro e a guardarmi attorno, impotente nel mio non poter fare nulla di diverso che aspettare che il mezzo pubblico passasse. Minuti che sembrarono infernali, però ero davvero troppo stanca per tornare a piedi. La corsa isterica di poco tempo prima mi aveva distrutta, non ero una tipa atletica.

La mia attività fisica si era sempre limitata alle ore dedicate a scuola. Nella casa famiglia si facevano davvero poche iniziative a tema ed i giochi scalmanati che facevano tra di loro i bambini, non includevano me. Non mi facevano giocare con loro, mai. Mi rincuoravo pensando che alla fin fine non mi interessava, che sarebbe stato complicato giocare a nascondino. Come avrei potuto urlare: "Tana libera tutti?".

Passavo i pomeriggio a guardarli, seduta sul muretto accanto a Giotto.

Giotto: una figura sempre presente, sempre costante. Non mi aveva mai graffiata, non mi aveva mai morsa. Era l'unico ad non aver mai neppure provato a farmi del male.

Lo portavano via dalle mie braccia, me lo strappavano a forza, mentre i piangevo e scalciavo. Dovevano tenermi ferma, tirarlo via da me, mentre lui soffiava e graffiava, facendo bene attenzione a non colpirmi.

Ogni volta era uno strazio. Mi chiudevano in camera ed io piangevo per dei giorni, ripensando ai suoi miagolii disperati, preoccupata che fosse la volta che non sarebbe più tornato. Invece non mi aveva mai delusa, mai aveva sbagliato, mai era mancato.

Passavano due o tre notti ed una mattina venivo svegliata da una zampa che grattava il vetro della mia finestra sbarrata. Era tornato da me. Impolverato, affamato, debole, molte volte anche ferito, ma la prima cosa che faceva, quando lo prendevo in braccio, ogni volta, era strusciare il suo muso sul mio collo.

Eravamo due esseri incapaci di parlare, ma non avevamo mai avuto bisogno di comunicare a voce: bastava un contatto, uno sguardo, un movimento.

Per questo non volevo che il tempo per lui passasse. Non volevo che invecchiasse ancora, non volevo che se ne andasse davvero, per la prima volta, via da me.

Non volevo che la morte me lo strappasse dalle braccia, come avevano fatto quegli adulti tanti anni prima. Perché dalla morte non sarebbe potuto scappare.

L'arrivo della metro mi scombussolò i capelli e i pensieri. Continuavo a non amare quel mezzo di trasporto, era come una sepoltura anticipata e forzata.

Mi riscoprii a non essere particolarmente preoccupata: non capivo cosa stesse accadendo, questo era chiaro, ma non sapevo neppure se stessi scappando da qualcosa o stessi raggiungendo dell'altro. Mi fidavo di Nathan, ma dopo avermi detto di correre, era svanito.

Ero troppo confusa per avere paura, non capivo di cosa avrei dovuta averne.

Scesi dalla metro e mi diressi verso il mio condominio. Scossi la testa e decisi di dare retta al ragazzo: mi misi a correre.

Mi fermai di fronte al portone e mi piegai in avanti, appoggiandomi sulle ginocchia. Potrei morire, aiuto. La gola mi raspava e sentivo l'aria trapanarmi la trachea.

Quando schiusi gli occhi notai che il vaso dove tenevo nascoste le chiavi era spostato. L'ingresso era socchiuso.

Cominciai ad avere paura. Nessuno sapeva di quella chiave nascosta, non era semplicemente infilata lì sotto. Era mescolata alla terra, nessuno si sarebbe messo a scavare.

Ancora con il fiatone entrai nel condominio ed iniziai silenziosamente a salire le scale guardando verso l'alto. Sentivo delle voci, ma le riconobbi, erano gli inquilini del piano inferiore al mio.

Aurora - Silenzio e Voce [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora