47 - Rompere

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Non avevo alcun controllo, non mi importava più nulla.

Mentre Trevor mi trascinava via io ridevo sguaiata e lanciavo maledizioni a quel gruppo di imbecilli. Augurai le peggiori morti, risi e piansi, vomitai guaiti animaleschi dalle labbra e mi contorsi tra le mani mal ferme di un tutor che probabilmente rimpianse d'essere rimasto fuori di lì per controllarmi.

Quando fummo fuori lasciò la presa ed io, smettendo di urlare ma non di ridere, mi allontanai.

<<Dove stai andando ora?!>>.
Cavoli miei. Volevo scendere le scale, tornare lì giù, sentire il mio cuore battere. Al momento quel defibrillatore era l'unica cosa che ancora mi teneva legata a quel luogo, non me ne sarei privata.
Dovevo restare, davvero? La Morte era stata chiara. Lo dovevo a Nathan, ma perché? Dov'era lui in quel momento? Che almeno mi lasciassero fare quello che volevo.

Iniziai a correre velocemente in discesa sui gradini.
Sentii Trevor imprecare: <<Non ti azzardare! Porca miseria, Aurora! Nathan mi ucciderà!>>.
Non lo ascoltai e proseguii. Dovevo essere rapida, sperando che i miei muscoli non collassassero definitivamente. Non doveva raggiungermi.

<<Fermati!>>. Riuscivo a tenergli testa, spinta dalla foga, spinta dal desiderio e dalla bramosia. Non incontrai nessuno impegnato a salire, nessun inquietante sorriso e nessuno sguardo perso. Qualcosa non andava.
<<Te ne pentirai! Ascoltami!>>.
Dovevo sentire battere il mio cuore e alla svelta, prima che perdessi l'ultimo briciolo di sanità mentale. Avevo bisogno dell'illusione della vita, avevo bisogno di quella scossa. La necessitavo, il bisogno era impellente e soffocante.
Ne ero dipendente. Sì, ma non mi interessava. Ne volevo ancora, e ancora, e ancora.
Biascicai: <<Datemi quel diavolo di defibrillatore>>.

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Arrivai tardi.

Con il viso consunto e coperto di sangue, mossi brevi passi verso l'enorme portone nero. Non era aperta solo la piccola porta formato uomo, ma le due enormi ante che arrivano sul soffitto erano spalancate, scardinate, poggiate alle pareti.
<<No>>: sussurrai.

Avevo rallentato l'andamento, Trevor mi aveva quasi raggiunta, non mi feci fregare. Ripresi a correre, disperata, verso l'enorme apertura.
<<No, no, no, no>>: ripetevo.
Sentivo grida disperate, voci rotte dal pianto, urla di letterale dolore e frustrazione.

Oltrepassai la soglia e le mie paure si accesero come la testa rossa di un fiammifero sfregato.
Un corposo filo di fumo percorreva l'intera sala. Nessuna musica risuonava, solo singhiozzi di drogati in astinenza. Nessuno ansimava, nessuno ballava, nessuno si baciava. Erano tutti attorno all'origine del fumo, stretti in un cerchio solidale di disperazione e pianto.
Mi unii a loro, non appena sentii le lacrime pizzicarmi gli occhi.

Non avevo il coraggio di avvicinarmi, non volevo ed il mio tentennamento permettesse a Trevor di raggiungermi. Mi afferrò per una spalla: <<Ferma!>>. Troppo concentrato su di me, non si era reso conto di quello che era successo. Si immobilizzò al mio fianco: <<Oh, lo ha fatto sul serio>>.

Lo ignorai e mi liberai dalla sua presa divenuta presto debole.
Non poteva essere, non ora che ero di nuovo così vicina a quella boccata d'ossigeno.
Scostai le persone che piangevano e si graffiavano viso, braccia e petto. Era quello il volto della dipendenza?
<<Come faremo ora?>>: ripeteva qualcuno.

Raggiunsi la fine del cerchio e mi strinsi un braccio al petto. Il defibrillatore era distrutto.
La ragazza bionda che mi aveva chiuso la bocca con lo scotch, era in ginocchio accanto al macchinario ormai in pezzi e singhiozzava: <<Era l'unico modo per sentirci vivi>>.

Aurora - Silenzio e Voce [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora