38 - Vestire

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Le taglie erano sparse in giro. O meglio, non c'erano taglie scritte, dovevo prendere un capo, guardarlo intensamente e prendere in considerazione l'idea che potesse starmi bene.
Era tutto troppo nero, tutto troppo uguale ed io non ci stavo capendo più nulla.
Grugnii scocciata ed afferrai l'ennesima stampella. Una maglia di lana nera. No.
Leggins di pelle nera. No.
Camicia nera. No.
Mi presi i capelli tra le mani e sbuffai. Non avrei mai trovato nulla.

Altri ragazzi giravano per l'enorme stanza guardaroba, alcuni con un atteggiamento più confuso, altri con sguardo più esperto e diretto. Quest'ultimi erano i primi a terminare la loro ricerca, a cambiarsi in un camerino ed ad andarsene.

<<Prova questo>>: una ragazza poco lontana da me mi porse un paio di pantaloni neri. <<Mi sembrano essere della tua taglia>>. Diffidente mi avvicinai ed allungai la mano. Non sembrò rimangiarsi quanto detto od aggiungere qualcosa di tremendamente acido, quindi decisi d'accettare l'offerta: <<Grazie>>.
<<E... questo. Dovrebbe starci bene>>. Mi porse una canottiera.
Mi indicò uno scaffale a muro: <<Lì ci sono gli anfibi, dovrai cercare per un po' la tua taglia, ma ci sono più o meno tutte>>.
Annuii stupita che qualcuno in quel posto sembrasse comportarsi in maniera gentile. La ragazza aveva lo sguardo vacuo e riprese a passare tra le stampelle: <<Credo di aver fatto la sarta quando ero viva>>. Mi allontanai lentamente verso un camerino e la sentii sussurrare: <<Credo di essere stata viva>>.
Era inquietante.

Mentre indossavo gli abiti il mio respiro si interruppe. In quel posto mi sembravano tutti piuttosto fuori di testa, ma non riuscii a non giustificarli. Lessi un libro quando ero adolescente, sulla guerra, sulla vita dei soldati. Diventavano pazzi, maniacali, schizofrenici, paranoici. La routine degli scontri, il rumore degli spari, la costante presenza della morte e la puzza di paura li rendeva instabili. Uno dei pochi modi per sopravvivere alla follia, nella trincea, era la droga. Era l'unico modo per distrarsi, per sentirsi vivi tra i cadaveri.
Quei soldati, quelle anime, quei demoni, non era tanto diversi. Anzi, la loro situazione si poteva tranquillamente considerare peggiore. Non c'era un briciolo di speranza in quel luogo, aveva ragione Laura. L'assenza di questo elemento aveva portato tutti nel baratro della pazzia. Era impossibile fuggirne: ne sentivo l'odore, la presa gelida, l'alito pesante sulla nuca.
Scossi la testa e mi infilai la maglia.

Leggins e canottiera nera, sarei potuta andare a fare jogging, ma conoscendomi dopo due passi sarei caduta per terra senza fiato. Ironicamente non mi serviva più il fiato: che questo potesse essere l'inizio della mia carriera da maratoneta?
Combattere la depressione con l'auto sarcasmo, sono un cavolo di genio della psicoanalisi.

Mi chinai per sistemare l'estremità del leggins ed i miei capelli scuri mi ondeggiarono davanti al viso. Li afferrai e mi ritirai su. Un guizzo di colore bianco mi catturò ed inchiodò.
Fu un istante lungo quanto un battito di ciglia, ma qualcosa l'avevo visto. In quella luce soffusa, tra quelle pareti cremisi, il pavimento spento ed i miei occhi opachi, qualcosa era passato. Come un lampo, un miraggio, una visione. Una macchia bianca.
Avevo visto quello sprazzo di luminosità, ma non abbastanza a lungo per credere a me stessa.
Idiota: mi dissi, ma avevo imparato a non ignorare le illusioni.

Cautamente uscii dal camerino e mi avvicinai alla scarpiera.
Non ci volle molto perché trovassi un paio di anfibi che mi stessero bene, ma non erano comodi, per nulla. La suola era dura e pesante, mi parve di camminare con due blocchi di cemento ai piedi.
Cercai con lo sguardo la ragazza che mi aveva aiutata con i vestiti, ma doveva aver già finito. Avrei voluto salutarla, socializzare, fingere d'essere brava a conversare.
Mi voltai per uscire dal guardaroba, ma mentre lo facevo un altro punto bianco sorvolò il mio campo visivo. Mi fermai, non mossi un passo. Era scomparso.
Proseguii verso l'uscita e mi soffermai a leggere il piccolo cartello appeso sul muro.
"Stai lontana dal bianco". Eh? Non erano le parole che mi aveva detto la Morte, quelle? Mi avvicinai fino a sfiorare la superficie con la punta del mio naso. Le lettere tremolavano, come se fossero state scritte male. O forse erano i miei occhi, leggevo sempre peggio. Li strofinai e quando li riaprii il messaggio era sparito, lasciando spazio ad un banale: "Room 7". Un'allucinazione?
Vidi ancora un lampo bianco con la coda dell'occhio.
"Stai lontana dal bianco".
Iniziai a camminare guardandomi appena alle spalle, non prestando attenzione alla direzione. Raggiunsi le scale e riflettei se salire o scendere. Un guizzo alle mie spalle mi portò a salire in fretta. Volevo tornare nella mia stanza, volevo tornare da Nathan.
Barcollante scavalcai i gradini di due in due, non incontrai nessuno che scendeva, c'era troppo silenzio.
Arrivai nei dormitori e mi persi nel labirinto.
Ancora quel colore pallido.
Accelerai il passo.
I corridoi sembravano essere sempre uguali, ma sempre diversi, non riuscii a riconoscere nessuna porta. Provavo a leggere le targhe, ma i numeri tremolavano, come se non riuscissi a metterli a fuoco. Sbattevo compulsivamente le palpebre, gli occhi mi bruciavano.
Sentivo qualcosa, dei passi, degli spostamenti, dei fruscii.
Ogni volta che mi voltavo tutto tornava immobile, per poi riprendere alle mie spalle non appena mi muovevo.
Una risata lontana, aspra.
Qualcuno chiamò il mio nome.
Mi misi a correre, gli anfibi erano sempre più pesanti.
Non incontrai nessuno, dov'erano finiti tutti?
<<Aiuto!>>: gridai. Bussai alle porte, nessuna di questa si aprì.
Sospiri, rantoli. Ero sempre più stanca, ma l'adrenalina mi dava la forza per continuare a fuggire.
<<Nathan! Nathan!>>: iniziai a piangere.
Un eco rimbalzò tra le pareti: <<Non può sentirti>>.
<<Vattene!>>.
Mi fermai. Incespicai per un attimo nei miei stessi piedi, nel tentativo di farlo, ma non persi l'equilibrio.
Avevo svoltato per un corridoio ed una macchia di colore bianco mi aveva pugnalato a morte gli occhi. Era davanti a me, immobile, sorridente, a braccia aperta: <<Figlia>>.
Un ragazzo, lo stesso che avevo visto accanto al corpo di Zeno prima di morire. Aveva i capelli di un biondo chiarissimo, inquietanti occhi rossastri, pelle diafana. Era vestito totalmente di bianco e somigliava incredibilmente a Nathan.
Fece un passo verso di me, continuando a mantenere quell'espressione gentile sulle labbra: <<Figlia>>, ripeté.
<<Figlia un cazzo!>>. Feci dietrofront e ripresi a correre. Se mi avevano detto di stargli lontana un motivo doveva esserci e sicuramente non mi sarei fermata a chiederglielo. Inoltre immaginavo fin troppo bene chi potesse essere.
<<Non fare così>>.
In una nuvola di fumo chiaro, mi si materializzò davanti. Ci andai a sbattere contro e fui sbalzata all'indietro.
<<Non puoi fuggire da me, non puoi fuggire dal mio regno, non da ciò che ti aspetta>>. Il sorriso divenne poco a poco più ampio. Gli occhi scintillarono.
Allungò le braccia verso di me, aveva le unghie macchiate di nero. Io rimasi immobile, paralizzata.
Senza fatica mi sollevò e mi attaccò al muro tenendomi per le spalle. Non sentivo alcun dolore, ma la paura, quella sì, faceva male.
<<Nathan non può nasconderti qui per sempre>>. Letteralmente, tirò fuori la lingua. Una lingua violacea, lunga e biforcuta: disgustosa. Scalciai, ma i miei colpi non lo smossero minimamente.
Mi leccò lentamente il collo ed io gridai: <<Lasciami!>>.
<<Questo non è il tuo posto, lo sai bene, perché provi a ribellarti?>>. Si avvicinò alle mie labbra e sorrise facendo guizzare quell'orribile lingua: <<Non ora, non ti porterò via ora. Ti do ancora del tempo, voglio vederti giocare ancora un po', ma presto o tardi sarai tu stessa a cercarmi>>.
Mi dimenai tra le lacrime che tentavano di affogarmi, ma non potevo fare molto. Lo guardai fisso nei suoi occhi rossastri, percorsi i suoi lineamenti morbidi, gli stessi che aveva Nathan: <<Fottiti Ryan>>.
Rise e mi posò delicatamente a terra: <<Scegli da che parte stare, Aurora>>.
<<Io ho già scelto>>.
<<Ti sbagli, non puoi farlo finché non capisci quali sono le fazioni>>.
Lo spinsi e finalmente ebbi un qualche risultato, perché indietreggiò: <<Lasciami in pace, io voglio rimanere qui>>.
Mi indicò con le sue dita nere: <<Non sai neppure cosa vuoi>>.
Allargò le braccia: <<Vivere o morire? Pazzia od equilibrio? Cosa scegli Aurora, cosa scegli?>>.
Mi sporsi in avanti ed urlai: <<Nathan! Io ho scelto Nathan!>>.
Si ricompose e la sua lingua serpeggiò tra le sue labbra: <<Non hai ancora capito nulla, sciocca ragazza>>.
Io ripresi a correre sperando di non venir seguita anche questa volta, ma sentii ancora l'eco della sua voce: <<E la tua risposta è quella sbagliata>>.


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Nota autrice: Ed eccovi Ryan! Un altro personaggio che adoro.
E direte "Ma sei scema?", sì, abbastanza, ma imparerete a conoscerlo e, probabilmente, ad odiarlo. 
Per ora che ne pensate?

Aurora - Silenzio e Voce [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora