74 - Salutare

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<<Non ti ho mai chiesto di quello>>: mi disse Daniele indicando il minuscolo tatuaggio che avevo sul polso.

Aggrottai le sopracciglia e alzai per un attimo lo sguardo oltre al recinto del cortile della REMS.

"Non hai mai chiesto molte cose".

Rise a bassa voce e sbadigliò.

Sbadigliai di rimando.

<<So che non ti piace parlarne, lo tieni sempre nascosto>>.

Era vero e lui, come sempre, lo aveva notato. Cercavo di coprirlo il più possibile, proprio per evitare che qualcuno mi chiedesse qualcosa a riguardo. Di dare spiegazioni non ne avevo mai voglia.

"Io non parlo e basta".

Sbuffò stizzito: <<Battutona>>.

Lasciai scendere quel silenzio mai imbarazzante e mi godetti il tiepido sole sul viso: avevo imparato ad amarlo, con gli anni. Durante le mattinate passate ad osservare Manuele, seduta su quella stessa panchina, dovevo averne preso abbastanza per abbandonare il mio eccessivo pallore.

<<Quindi? Il tatuaggio?>>.

Scribacchiai sperando che la risposta lo zittisse una buona volta.

"Mi aiuta a non dimenticare qualcosa che ho dovuto lasciare indietro".

Mi scrutò con attenzione, subito dopo aver letto. Temetti ricominciasse a parlare, ma invece sorrise e mi restituì il taccuino.

Era passato un anno dal suo arrivo alla REMS e iniziava a diventare sempre di più un problema farlo stare in silenzio: superato l'impaccio iniziale, la scomodità di dover comunicare metà per scritto e metà per parlato, aveva iniziato a mettersi sempre più a suo agio in mia presenza, forse troppo.

Aveva avuto modo d'anticiparmi la sua capacità di risultare fastidioso, ma non avrei mai pensato di ritrovarmi a desiderare d'imbavagliarlo e gettarlo in una vasca di squali.

Era furbo, curioso, pochi dettagli sfuggivano al suo sguardo attento e, soprattutto, era schietto a livelli eccessivi, esasperanti. Non si degnava di mantenere un briciolo di buone maniere di circostanza neppure nei casi più semplici: la mattina giungeva puntuale alle dieci a svegliarmi bussando concitato alla mia porta; mi alzavo scocciata e assonnata, sperando d'avere almeno la lucidità mentale per tirargli un pugno sul naso, e, ogni volta che me lo ritrovavo di fronte, aveva anche il coraggio di giudicare espressamente in negativo il mio brutto aspetto.

Quando mi faceva notare come il mio comportamento nei confronti di Serena ostentasse l'immaturità, non censurava neppure il commento più spigoloso nei miei riguardi.

Semplicemente, mi diceva sempre le cose come stavano.

Lui non si illudeva, era pratico, se una cosa era così, lui la mostrava come tale.

Mi sconvolse il fatto che per anni avesse dubitato della propria situazione, senza rendersi conto della falsità di quelle voci che lo sconvolgevano. Sarò stata io l'eccezione ad aver avuto la sconvolgente forza di far confessare le mie stesse allucinazioni a riguardo, informandomi da sola sul mio probabile stato di schizofrenica, ma non riuscivo a capire come la sua furbizia non lo avesse messo in condizione di giudicare in maniera lucida la propria malattia.

Probabilmente non era così facile come mi era sembrato, vidi su di lui gli aspetti più traumatici del mio stesso disturbo mentale, tra crisi di pianto e fortissimi mal di testa.

Una cosa però era certa. Era migliorato, come ero migliorata io.

Non l'avrei mai creduto possibile e una parte di me, inizialmente, aveva sperato che la terapia di Gaeli si risolvesse in un flop incredibile. Quando avevo rinunciato al mio orgoglio e al mio tentativo di sabotarlo, trascinata più dall'affinità che sentivo con Daniele, non avevo davvero creduto che da quella sorta di legame ne sarebbe mai potuto uscire qualcosa di buono.

Aurora - Silenzio e Voce [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora