21 - Sopportare

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Furono settimane d'inferno, quelle che seguirono.

Non facevo altro che perdere il controllo su me stessa, passavano le giornate e la sera mi rendevo conto di non ricordarne gran parte.

Non capivo più quando mi addormentavo e quando mi risvegliavo, quando la mia voce mi strappa via e prendeva il mio corpo, e quando riuscivo a tornare.

Era come se lei avesse capito il meccanismo, come se ogni volta che riuscisse a cacciarmi diventasse più brava a farlo.

Vivevo con un'ansia perenne, mi sentivo osservata dall'interno, avevo la tachicardia continua. Sentivo che mi stava spiando, in attesa del giusto momento per spodestarmi ancora.

Ero confusa, preda delle amnesie, costantemente nervosa. Non riuscivo a ricordare quello che dovevo, perdevo intere porzioni di giornata: mi stava sfuggendo la vita dalle dita.

Lei si stava divertendo con me, lei era più forte, lei voleva distruggermi, indebolirmi, farmi impazzire, fino ad avere un totale controllo sul mio corpo, fino a non farmi mai più tornare indietro.

Per la prima volta cominciai a pensare a quello che mi aveva detto quel ragazzo: dovevo reagire o lei si sarebbe impadronita di me. E per la prima volta cominciai ad avere davvero paura.

Alla tavola calda, Adriano mi chiese se fossi riuscita a parlare, io negai, scrivendoglielo sul taccuino, ma i miei continui scambi non resero plausibile la mia versione.

Anche gli altri colleghi si ritrovarono, spesso e volentieri, a trattare con una scontrosa Aurora chiacchierina. Questo li portò a capacitarsi dell'idea che, in un modo o in un altro, la loro silente compagna stava riacquistando la parola.

Solo che lo stavo facendo nel mondo sbagliato e che quella non ero davvero io.

Ero spaventata dal non sapere cosa combinasse quella quando perdevo il controllo sul mio corpo. Da quel che colsi dalle conversazioni con le altre persone, il mio alter ego prese sul serio l'impegno del lavoro, svolgendolo, ma senza serbarsi dalle lamentale.

Disse una volta Deborah: <<Oggi non scassi le palle a nessuno? Sicura ti vada di pulire i tavoli o devi di nuovo minacciarmi di morte con una forchetta?>>.

Il giorno dopo Sergio bofonchiò, parlando di quest'ultima: <<Potevi anche trattarla meglio quella poveretta, ti aveva solo chiesto di aiutarla, non c'era bisogno di aggredirla>>.

Io rimasi sconvolta dal capire che la mia voce era aggressiva: rispondeva male, era scorbutica e non le andava di farsi dare ordini.

Inoltre aveva deciso di vivere la mia vita come se fosse un'adolescente in calore: quando mi risvegliavo la mattina, mi ritrovavo lo stomaco pieno di alcool ed altre schifezze, il rossetto (dove diamine aveva trovato il rossetto?!) sbavato e vestiti corti al posto del pigiama.

Barcollavo tra paura e rabbia, in attesa solo del prossimo black out.

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Stavo spazzando per terra. Mister Eth mi aveva costretta a fare gli straordinari, ovviamente non pagati, anche questa volta. Il motivo ancora non l'avevo ben capito, ma immaginai che cominciasse a risentire del fatto di star perdendo l'unica sua dipendente affetta da un handicap: ero il suo scudo, l'avrebbero sempre considerato un buon datore di lavoro, se mi avesse tenuta con lui.

Deborah mi passò accanto e mi lanciò un'occhiata. Eravamo rimaste solamente lei ed io a chiudere la tavola calda.
Sembrava che il suo odio nei miei confronti fosse addirittura aumentato in quest'ultimo periodo. Non potevo darle torto in nessuno modo, non doveva essere bello ritrovarsi a trattare con una psicopatica irascibile.

Mi chiesi se i miei colleghi si fossero mai accorti che, oltre al parlare e non parlare, la mia persona subiva enormi cambiamenti di carattere. Mi risposi dicendomi che probabilmente non si erano mai soffermati abbastanza a lungo per conoscermi davvero, per notare poi la differenza.

Avevo ammucchiato la polvere in un angolo, con soddisfazione mi apprestai a raccoglierla con la paletta, ma, prima che potessi arrivarci, Deborah ci camminò sopra mandando a quel paese un meticoloso lavoro durato una buona mezz'ora.

Gettai con la rabbia la paletta per terra e la calciai via.

In quei momenti avrei voluto davvero urlare, sbraitare come un animale e cacciare fuori tutto il nervoso che mi urticava la gola.

Cercai di tenere a freso le emozioni per non perdere ancora il controllo, ma fu immensamente difficile. Pensai che sarebbe stato bello poterle sputare in faccia tutto lo schifo che avevo cominciato a provare per lei già da tempo. Era sempre stata l'unica a non degnarmi neanche di un saluto la mattina, la migliore a maltrattarmi, una viscida e boriosa idiota che doveva tormentarmi senza un reale ed apparente motivo.

Afferrai furente il taccuino, scrissi spingendo a morte sul foglio con la penna, strappai la pagina, l'appallottolai e gliela tirai addosso con tutta la forza che avevo. Emise un piccolo tonfo leggero: mi suggerì un senso di impotenza infinito.

Lei si voltò e mi guardò scocciata, prese il foglietto e prima di leggerlo commentò: <<Oggi non hai voglia di parlare, eh?>>.

"Che cazzo ti ho fatto?!": fu quello che lesse.

Mi fulminò, ma non mi feci intimorire. Per una volta, per una stramaledetta volta nella mia vita, mi ero stancata di tutto questo. Mi ero stancata di sopravvivere e basta, d'abbassare la testa davanti alle persone. Ero stanca e col cavolo che sarei andata a dormire questa volta.

Mi ignorò e gettò a terra il messaggio: <<Pulisci anche questo, quando avrai finito di raccogliere la polvere>>. Non mi avrebbe messa da parte in questo modo.

Rialzai la scopa e gliela diedi in testa. Gemette e ringhiò: <<Ma sei totalmente pazza? Porca miseria, stavolta ti faccio licenziare, te lo giuro>>. Troppa gente che giurava cose che non poteva permettersi, tipo Zeno che giurava di ammazzarmi: finito preso a calci del sedere dalla mia voce isterica.

Deborah provò a scansarmi, ma io le bloccavo la strada: <<Spostati>>. Ripresi il foglietto e glielo spiaccicai il faccia, per farle capire che doveva rispondere e che altrimenti non mi sarei scostata di lì.

Aurora - Silenzio e Voce [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora