60 - Consolare

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La psichiatra si sedette goffamente sulla sedia ed alzò lo sguardo su noi. La sua taglia extra large le donava quell'aspetto rassicurante che le aveva certamente fatto guadagnare quel posto di lavoro.
Eravamo già tutti sistemati in cerchio e pronti per iniziare la terapia di gruppo, lei era arrivata in ritardo di pochi minuti.

Trattenne gli occhi su Serena e Lorenzo per qualche istante di più, erano seduti vicini.
<<Non c'eravate questa mattina>>: disse mesta mentre tirava fuori qualche cartella dalla borsa di stoffa lasciata sul pavimento.
I due non risposero ed io gongolai mentalmente sapendomi ben giustificata: avrei sfidato chiunque a sopportare quella routine di avvocati per tre anni, il premio di poter saltare qualche misera ora di terapia mi sembrava il minimo.

Mi mossi di poco sulla sedia, era scomoda. Allungai un occhio verso Lorenzo: era furbo, aveva rubato un cuscino da una delle sale ricreative.

I volti smunti dei miei compagni erano coperti da occhiaie profonde, sbadigliavano a turno, o meglio, uno sbadigliava e gli altri lo seguivano a ruota come marionette.
Mi sforzai di non aprire la bocca per imitarli.

La dottoressa si sistemò il camice lungo e ci sorrise: <<Bene, riprendiamo da dove avevamo interrotto stamattina>>.
Giocherellai con il pennarello nero.
<<Alessio, ci stavi raccontando del sogno che hai fatto questa notte>>.
Rivolgemmo le nostre attenzioni sull'uomo interpellato.
Alessio mi terrorizzava forse più di tutti gli altri messi assieme, la sua malattia traspariva da ogni suo sguardo o movimento. Non era come Lorenzo e Serena, entrambi avrebbero potuto camuffarsi, avrebbero potuto spacciarsi per sani di mente, sforzandosi, digrignando i denti per qualche minuto. Alessio sudava costantemente a freddo, si guardava attorno sconvolto, come se sapesse perfettamente di una qualche sciagura, ma non fosse a conoscenza del giorno e l'ora esatta della sua venuta. Nel dubbio si teneva pronto, non togliendosi mai quello sguardo sconvolto dalla faccia.
Era un bugiardo patologico, mentiva senza neppure rendersene conto, tutto quello che diceva era da prendere pesantemente con le pinze, ma ciò che lo aveva ridotto in quello stato era stato il crollo che lo aveva reso un criminale.
Raccontava spesso della moglie, la infilava a forza in discorsi che si creava da zero, cambiandole nome, viso, colore di capelli. Ogni volta sembrava una donna nuova, ma ogni volta l'epilogo dei suoi racconti era lo stesso: <<La vedevo lì, arrabbiata, urlava. Io non stavo mentendo, lo giuro, ma lei ripeteva che non ero nient'altro che un bugiardo. Voleva il divorzio, diceva, mi avrebbe tolto i miei figli, diceva. Era bella, bella da morire anche mentre gridava, con le guance rosse e i capelli scarmigliati. Provai a dirglielo, a ripeterle che l'amavo, ma non mi ascoltava, continuava ad additarmi come un bugiardo>>.
Prese un respiro profondo: <<Non ricordo cosa le avessi detto per farla arrabbiare tanto, dopo tutto era un sogno. No?>>.

Mi concentrai sulla dottoressa, che vedevo pronta ad intervenire in caso il tono di voce di Alessio avesse iniziato ad incrinarsi eccessivamente. Era pronta ad interromperlo, a calmarlo: era un uomo di cinquant'anni, ma aveva le emozioni instabili come quelle di un bambino.
Scrutai le onde sinuose dei capelli della psichiatra, mi ricordavano il cioccolato fuso, erano molto belli.
Non riuscivo a mettere a fuoco il suo nome, non lo diceva praticamente mai, preferiva lasciarci conoscere tra noi poveri malati di mente, ed io ero sempre solita ascoltare poco. Lei era più uno sfondo sul quale ci appoggiavamo, ci faceva domande vaghe e ci invitava a discuterne tra di noi.
Come diamine si chiamava quella donna?
Allungai lo sguardo per leggere la piccola scritta stampata sul cartellino attaccato al suo ingombrante petto, ma era troppo distante da me. Possibile che in tutta questa storia stessi anche per diventare miope?

<<Mi scoppiava la testa, non riuscivo a capir più nulla. Non potevo accettare che non si fidasse della mia parola, che mi desse del bugiardo. Allora l'ho pre->>.
Roberto, il quinto ed ultimo elemento del nostro gruppo, lo interruppe: <<L'hai presa e l'hai picchiata. Sì, lo sappiamo, l'hai già raccontata tre giorni fa questa storia. Sicuro che il sogno fosse di questa notte?>>.

Aurora - Silenzio e Voce [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora