72 - Ossessionare

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Gaeli non arrivava, Gaeli non arrivava, Gaeli non arrivava.
Lo immaginavo ancora seduto al tavolo della mensa, con quel caffè annacquato tra le dita, mentre conversava amabilmente con i suoi colleghi, parlottando cordialmente su quale destino avrebbero riservato a Daniele, come tre parche pronte a tagliare il filo di una vita.

Io ero lì, appesa al nulla, accasciata a terra, rimasta a fissare il pavimento chiaro e freddo, mentre il fiato mi si mozzava in gola.

<<Siediti lì>>: sibilò Manuele.
Le mie orecchie fischiavano ed ebbi la sfacciataggine di non muovermi.

<<Ti ho detto di sederti>>.
Mi afferrò per un polso e provò a tirarmi su, ma io glielo strappai via dalle mani e finalmente alzai lo sguardo per fissarlo.

Avevo le palpebre spalancate, non volevo sbatterle, non volevo perdermi neppure un suo singolo movimento, terrorizzata da cosa intendesse fare, desiderosa di controllarlo e, nel caso, incapace di bloccarlo.

L'istinto che mi ribolliva nel petto era ovviamente quello di fuggire, ma era palese come mi fosse impossibile. Aveva bloccato l'unica porta con la pesante scrivania di Gaeli, non potevo sgusciare via abbastanza in fretta da avere anche solo una chance di farcela.

Mi trascinai indietro, cercando di mettere più distanza possibile tra noi due, ma, quando mi riafferrò, la sua presa si era fatta tanto forte da non impedirmi ulteriori ribellioni. Mi strinse per un avambraccio e mi sollevò di forza, sentii il muscolo stirarsi e il mio viso stringersi in una smorfia.

Scattai in piedi senza volerlo davvero, assecondando in ritardo quella costrizione, perdendo l'equilibrio in avanti.

Piuttosto che mantenermi in piedi, mi spinse verso la poltrona del mio psichiatra e mi accasciai lì, con il braccio indolenzito.

Il petto mi si alzava e abbassava ad una velocità disumana.

I suoi occhi scuri erano calmi, soddisfatti, sembravano gustarsi il momento con incredibile lentezza. I denti ingialliti dal tabacco sporgevano appena tra le sue labbra carnose, circondate da un sottile strato di peluria scura. Il camice bianco degli infermieri gli ricadeva largo su un corpo non proprio allenato. Non era della sua taglia, doveva averlo rubato da qualche parte.

Si accostò leggermente a me, rimasi a fissarlo dal basso della mia posizione, tremando.

Il suo sorriso si accentuò appena.

<<Ora che siamo da soli, possiamo finalmente riprendere il discorso che abbiamo interrotto anni fa>>.

Non capivo a cosa si stesse riferendo.

O forse sì.

Strinsi i braccioli della poltrona.

<<La chiusura della tua pratica giudiziaria ci ha malauguratamente interrotti, ma penso di non aver ancora capito un paio di cose. Non ti dispiacerà, spero, se provvederò immediatamente a rimediare>>.

Mi voltò per un istante le spalle, durante il quale mi distrassi quel poco per pensare ad un sistema per sfuggirgli, ma quel mezzo secondo non servì a nulla: non vedevo vie di scampo e non ero portata ad escogitare assolutamente nulla sotto pressione.

Aveva afferrato un blocco di carta e una penna dalla scrivania, mi lanciò entrambi. Non fui abbastanza rapida da allungare le braccia e li osservai schiantarsi al suolo.
Mi tornò in mente quando Hideki mi aveva lanciato dei pesetti e quando, tempo dopo, meno goffamente di quel primo episodio, glieli avevo schiantati in faccia.

Battei le palpebre senza volerlo e, nell'angolo più lontano della stanza, apparve Ryan.
Era seduto a terra, accartocciato su se stesso, mentre si teneva con forza le gambe strette al petto. I suoi occhi cerchiati da ampie occhiaie mi fissavano.

Aurora - Silenzio e Voce [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora