17 - Respirare

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«Una cosa del genere non è perdonabile. Ci hai lasciati nella merda fino al collo, ti rendi conto? Andartene così, nel bel mezzo del turno, quando dovevi coprire anche Deborah. Hai idea di quanto abbiano dovuto aspettare i clienti per mangiare?». Mister Eth. mi stava rimproverando.
Io ero in piedi di fronte a lui, con la testa china.

Avevo indossato la mia divisa ed avevo ritrovato la mia borsa nell'armadietto. Avevo provato a far finta di nulla, andando nelle cucine, ma immaginai immediatamente che non l'avrei passata liscia.

«Ti dovrei licenziare, senza pensarci due volte». Alzai lo sguardo supplichevole verso di lui. Era un uomo basso, con i capelli argentati e gli occhi chiari nascosti dietro un paio di occhiali dalla montatura color acciaio. Mi fissò con sprezzo, tirò su il naso ed incrociò le braccia al petto.

Deborah stava servendo i tavoli. L'avevano chiamata per fare anche il turno mattutino per paura che io non mi presentassi. Mi lanciava occhiate scocciate, immaginai che stesse sperando di sentire le fatidiche parole: "Sei licenziata, Aurora". Io al contempo ne ero terrorizzata.

Mister Eth. parve rilassarsi e si passò una mano sulla camicia a righe azzurre: «Ma non lo farò». Sospirai di sollievo. 
Ipotizzai che forse si fosse affezionato a me, nel tempo, ma più probabilmente temeva che procedessi con una vertenza. Non era stato e continuava a non essere il miglior datore di lavoro del mondo. Ma ne valeva la pena, di restare lì, se non fosse stato per quell'impiego Zeno non mi avrebbe mai rivolto la parola. Ero pronta a subire qualsiasi cosa per lui.

Mi indicò: «Vai a lavorare, farai anche il turno serale oggi e non ti pagherò gli straordinari». Annuii freneticamente e schizzai nella cucina a prendere qualche piatto già pronto. Passai davanti a Deborah che mi guardava con presunzione: «Grande pensata quella di darsela a gambe durante l'orario di pranzo». Alzai un sopracciglio e sorrisi. La lasciai interdetta e la sua domanda era ben dipinta sul viso: "Che cazzo ti sorridi?". La lasciai con i suoi dubbi amletici.

Mai mi era capitato di fare qualcosa di diverso dall'ignorarla. Qualcosa si mosse all'altezza del mio sterno.

Quand'ero bambina sentivo le mamme ricordare ai figli: "Se qualcuno ti dà fastidio tu ignoralo, vedrai che si stancherà".

Grandi cazzate.

Il bullo non si annoiava mai, il semplice abbassare lo sguardo della sua vittima, per lui, era una vittoria. Io, ragazzina senza voce, non avrei potuto fare nulla di diverso dall'ignorare quei sempre più grandi dispetti, ma nessuno smise mai.
Avevo ventidue anni e le angherie non terminavano.
Deborah era una bulla, nient'altro che quello, per motivi sui quali non avevo mai indagato per forza di cose.
Che fosse arrivato anche il mio turno di reagire?

Grugnii.

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Stavo pulendo i tavoli. Eravamo in orario di chiusura e non mi era mai capitato di rimanere fino a così tardi. Sergio prese la sua giacca dall'attaccapanni: «Aurora, ti serve un passaggio fino a casa?». Scossi la testa.

Tentennò sulla soglia: «È buio, preferirei tu non tornassi a casa da sola». Alzai lo sguardo e gli feci un gesto per tranquillizzarlo.

«D'accordo, se hai bisogno di qualcosa mandami un messaggio. Stai attenta».
Si fermò un istante ed aggiunse: «Saluto i bambini da parte tua».

Lo ripeteva sempre. Lui aveva una bella famiglia, una moglie e tre figli, immaginavo fosse un bravo padre, ma non ebbi mai modo di constatarlo. 

Spesso, ma non troppo, ripeteva quella frase: "Saluto i bambini da parte tua". Voleva coinvolgermi nella sua vita, voleva farmi pensare che io avessi davvero avanzato quella richiesta, che davvero mi fossi interessata a lui ed alla sua famiglia.

Aurora - Silenzio e Voce [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora