43 - Battere

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Le scale non sembravano finire mai. Percorsi una rampa, poi un'altra, poi un'altra ancora. Le luci, già deboli all'inizio, si continuavano a spegnere.
Non ebbi il benché minimo ripensamento, piuttosto la crescente curiosità di capire cosa ci fosse nascosto là sotto. L'espressione di Trevor era stata chiara: nulla di buono.
Ed io stavo andando dritta in mezzo alla pozzanghera. Che idiota.

Vidi qualcuno salire, mentre io scendevo. Era una ragazza, aveva i capelli afflosciati sul viso, gli occhi erano totalmente vacui. Si arrampicava sui gradini dondolandosi eccessivamente e sulle labbra aveva disegnato un sottile sorriso macabro.
La seguii con lo sguardo, mentre le nostre strade continuavano a separarsi. Mi sarei dovuta fermare in quel momento, ma non avevo visto ancora abbastanza devastazione per agire con un briciolo di sanità mentale, per una volta.
Velocizzai la discesa.

Un'altra rampa ancora. Incontrai altri ragazzi che salivano lenti, con passo malfermo, ma tutti con quel sorriso appena accennato sulle labbra, lo sguardo vuoto e tremori sulle mani.
Ancora un'altra. Ultimi gradini. Capolinea.

Mi guardai attorno, stropicciandomi gli occhi per il troppo buio. Ero su un ampio ed enorme corridoio, che mi fece sentire tremendamente piccola. Non era particolarmente lungo ed in fondo si intravedeva una parete totalmente nera.
Non c'era nessuno, nessun rumore, solo quello dei miei passi.

Adagio, iniziando per la prima volta a pentirmi d'essere scesa lì, ma troppo pigra e stanca per rifare i gradini a ritroso, avanzai.
Mano a mano che mi avvicinavo la parete nera si palesò per ciò che era: un enorme portone che arrivava fino all'altissimo soffitto. Era scuro, calcato da disegni impossibili da decifrare in tutta quell'oscurità. Come lo avrei aperto?

Mossi qualche altro passo fino a ritrovarmici sotto. Alzai lo sguardo e contemplai quell'altezza spropositata. Mi sentivo persa in tutto quello spazio, come un sottile ago caduto sul terreno: impossibile da ritrovare.
Analizzai la superficie e vidi una maniglia di dimensioni accettabili. Scettica la tirai e si aprì una porta a misura di uomo all'interno del portone gigantesco.

Il silenzio venne violentato da un un rumore devastante. La richiusi di colpo, cercando di non far morire i timpani.
Respirai a fondo e godei di quella pace. Cosa c'era lì dentro? Le mani mi tremavano, ma volevo andare a fondo a questa cosa. Tutto pur di non dover risalire subito su per le scale (a tratti mi trovavo decisamente scandalosa).
Digrignai i denti cercando di calmarmi. Strinsi la mano attorno alla maniglia e mi preparai psicologicamente a quel caos che, sapevo, avrei ritrovato.

Non feci in tempo neppure ad ordinare ai miei muscoli di tirarla, che la porta si aprì di colpo. Fui investita ancora da quel frastuono. Un ragazzo con il sorriso largo e gli occhi spalancati si affacciò: <<Che ci fai ancora lì?>>.
Mi afferrò per la canottiera e mi tirò dentro, sbattendo l'entrata.

Facevo fatica a sentire la sua voce in quella baraonda: <<Che facevi? Ci stavi ripensando? È la tua prima volta?>>.
Mi teneva la testa sotto il braccio, non riuscivo ad alzare lo sguardo dal pavimento, bloccata in quel modo.
Iniziò a trascinarmi continuando a parlare, ma non riuscivo più a distinguere una sola singola parola.
Inciampai in qualcosa, forse dei piedi, nessuno si arrabbiò.
Il rumore, il caos, iniziò a palesarsi per quel che era: musica. Musica della peggior specie, probabilmente. Tanto forte ed aspra da risultare gracchiante ed innaturale. Confondeva, era tanto orrenda da tradursi come pugni, calci e schiaffi sui miei poveri timpani.

Mi dimenai cercando di liberarmi dalla presa della ragazzo, lui mi lasciò andare: <<Che c'è? Perché ti agiti? Relax!>>.
Lo guardai sconvolta e feci un passo indietro. Urtai qualcuno, mi voltai. Un ragazzo molto alto stava ballando con una ragazza. Non si accorse neppure della mia presenza, troppo intento a sfregamenti ed effusioni degni del miglior lombrico ballerino di break dance.

Aurora - Silenzio e Voce [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora