Siamo sull'aereo, verso New York. La giornata di oggi è stata molto più tranquilla anche se Cody è stato freddo per tutta la giornata e anche adesso noto la una tensione nei suoi occhi che non lo lascia rilassarsi e godersi questo momento. Vorrei tanto sapere cosa lo turba quindi mi armo di coraggio e lo faccio.
«Cody, va tutto bene?»
Annuisce senza guardarmi. «Sì, non...» si ferma, guarda fuori e continua, «sto bene.»
«Va bene.»
Non so cosa dire, non so se forzare la mano o n però non voglio che si arrabbi sull'aereo. Forse, una volta che vede New York starà meglio siccome è la città dove è cresciuto e rimarremo questi due giorni a casa sua.
Faccio un altro tentativo e gli prendo la mano. Risponde al contatto e guarda le nostre dita intrecciate le une nelle altre. Nei suoi occhi però è persistente l'ombra di turbamento. «Cody, lo sai che non mi arrendo vero?»
E finalmente vedo un sorriso sulle sue labbra. «Lo so.»
«Bene, allora scoprirò cosa ti preoccupa,» ammetto con voce autoritaria mentre appoggio la testa sulle sue spalle.
Mi bacia i capelli e con voce distante afferma: «Non farlo, per favore.»
Mi scosto per guardarlo in faccia e vedo solo e soltanto un'ombra nera che vela il suo volto. Vorrei vederlo spensierato, che ride e gli occhi che brillano di felicità. Vorrei vederlo vivere per una volta, gioire.
«Signore e Signori siamo atterrati all'aeroporto internazionale Jhon F. Kennedy.» La voce femminile interrompe il flusso di miei pensieri.
«Siamo arrivati,» dico, saltando di gioia e sperando che le mie emozioni possano contagiare anche il ragazzo seduto accanto a me ma niente, lui continua con ad essere cupo. Attendiamo che tutti quanto scendano. Andiamo nella sezione bagagli e usciamo in circa un'ora dall'aeroporto. Fuori ad attenderci c'è un taxi, che Cody ha prenotato prima di partire. È sempre attento ad ogni minimo dettaglio.
Il freddo mi lascia tremante per tutto il tragitto fino a casa sua che passa tra il tassista che parla da solo, Cody che guarda fuori dal finestrino e io che cerco di proteggermi dal freddo ma smetto di tremare quando arriviamo a casa sua, perché allora rimango a bocca aperta.
È in uno dei lussuosi grattaceli di New York. Già all'entrata capisco che la casa sarà enorme perché il salotto è pari ad un'intera casa.
«Vado ad accendere il riscaldamento, così non ci congeliamo.»
Tutto ciò che mi circonda è elegante e raffinato, dalle lampade al divano. Non sembra esserci ne anche una testimonianza di polvere ma non questo spazio non ricorda da nessuna parte che ci abbia vissuto qualcuno qui. Mi sembra di essere in un museo.
È una casa che ha tutto ciò che una casa dovrebbe avere ma non sembra esserci traccia del calore di una famiglia o forse è solo il freddo.
«Adesso si riscalderà.» Cody mi ha raggiunta e mi fissa, studiandomi. «Allora, Emma, cosa ne pensi.»
Cosa ne penso? Penso che questa casa mi metta a disagio ma ovviamente non dico questo. «Nessuno vive qui?»
Siamo uno d fronte all'altro, a distanza di un passo e posso percepire il calore del suo corpo. «No, è da un anno che nessuno vive qui, siccome Serena si è trasferita e poi mi sono spostato io e mia madre e padre sono sempre in viaggio.»
«E la casa è stata sempre così?» Alla mia domanda lui aggrotta la fronte, «Voglio dire, è molto...» muovo le braccia in aria per indicare ciò che ho di fronte e intanto penso al termine giusto da usare, «pulita.»
«Pulita?» chiede confuso.
«Sì, pulita, nuova insomma molto ben decorata,» balbetto.
Ciao!!!!! Come state? Spero bene. ;D
Cosa ne pensate di come si sta sviluppando la storia?
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Shelter
ChickLitEmma, 18 anni, studentessa modello al Belling High School, affronta con coraggio la vita ogni giorno. La madre ammalata di cancro, il lavoro di notte e l'ambiziosa borsa di studio per Standford University non le permettono distrazione. I suoi gior...